Indicatori

Gianni Tognoni

Fondazione Lelio e Lisli Basso, Roma

Per corrispondenza: Gianni Tognoni, giantogn@gmail.com


quadro di riferimento


Più che in tutti gli altri anni, questo 2023 si presenta, nella stagione dei bilanci, con scenari e domande inquietanti per la loro sostanza e ancor più gravi per l’apparente assenza di risposte; dunque di competenza e da esplicitare per chi si identifica come responsabile di ricerca: di avere cioè il compito di produrre e promuovere conoscenza su aree di complessità-incertezza che impattano sulle scelte e la qualità del lavoro, e delle vite. Un primo molto approssimato elenco di situazioni giustifica la percezione di qualcosa di più di un disagio dei contesti attuali.

Siamo, per la prima volta anche per prossimità geografica, contemporanei-spettatori-coinvolti in due guerre tragiche e surreali; il comparto sanitario e quello educativo del nostro paese sono letteralmente senza una progettualità se non quella di sopravvivere, e i loro budget sono in decrescita sostanziale, dichiarati meno strategici di quello del mercato delle armi; il quadro sociale-economico oscilla (al di là di qualsiasi giudizio politico) tra i toni trionfanti per una promozione da parte di agenzie di rating e la ripetitiva conferma di statistiche ufficiali che danno diseguaglianza, povertà, disagio in aumento; i livelli salariali complessivi sembrano sempre meno quelli di un paese tra i 20 o addirittura 8 più avanzati del mondo; i dati ambientali-climatici sono, proprio mentre si scrive, affidati alla responsabilità di una COP 28 in un paese rigorosamente non-democratico, che ha come presidente uno dei proprietari-promotori di una politica che privilegia i fossili, per lasciare in lista perenne di attesa tecnologie che siano verdi nei fatti e non solo nelle retoriche politiche e industriali.

La professione infermieristica si trova, per competenze, ruoli, storia, contesti operativi, ad essere un attore importante a molti degli incroci tra gli scenari sopra indicati, anche per numerosità: da quella attualmente disponibile agli ormai mitici numeri di quella che dovrebbe essere nella realtà, ma per ora confinata in rapporti più o meno accurati, con budget virtuali.

Le domande sopra evocate come obbligatorie possono a questo punto trovare una prima formulazione.

Come orientarsi, con indicatori seri, per/in una ricerca ben contestualizzata, in termini di direzione progettuale e di cultura? Possono gli obiettivi-impegni (peraltro imprescindibili) delle professioni, essere in dialogo stretto con tutti gli interlocutori coinvolti?

È possibile combinare una coscienza-conoscenza lucida degli scenari attuali, con la promozione delle molte cose buone che si fanno, nonostante tutto, e che attendono di avere un supporto istituzionale?

È pensabile non certo in un editoriale di fine anno articolare con indicatori carichi di futuro, strategie di ricerca, per vivere non da pessimisti (rassegnati o peggio) il tempo che sta davanti, producendo conoscenza e cultura nell’attesa-lotta che le cose cambino?



la necessaria eterogeneità di indicatori che chiedono di essere complementari


1. L’indicatore primo su cui prendere decisioni per le sue radici nell’identità storica della professione, per l’urgenza dei contesti, per la sua praticabilità immediata, per il suo peso allo stesso tempo simbolico e molto concreto è molto semplice: stare, senza esitazioni, in tutte le forme possibili, dalla parte della pace.1 Come modo di esistere, schierarsi, esprimersi della professione: al di là di tutti i distinguo individuali o di scelte politiche. La pace ha sostituito la guerra tra le parole-realtà-prospettive che dovrebbero essere ‘proibite’. Ridare cittadinanza alla cultura e alle pratiche che creano pace, cioè relazioni, e mirano a rendere impronunciabile-impraticabile la qualifica degli umani (e dei viventi, e dell’ambiente) come nemici, realtà usa-e-getta, è una ricerca radicale: per trasversalità, il coraggio creativo che richiede, la durata.

2. La pace non è un indicatore astratto: culturale, politico, etico… Sarebbe estremamente significativa, e originale, una ricerca del/nel mondo infermieristico multidisciplinare, permanente, che parte dalla formazione, per esprimersi in tutte le discipline e i contesti più critici della presenza della professione nella società su come si traduce-promuove-declina la pace: che non è, ovviamente, assenza di guerra o sua conclusione con vinti e vincitori. Sarebbe come dire che salute-sanità significa assenza di malattie. La salute come bene comune primario e imprescindibile è anzitutto un progetto di pace rispetto al quale tutti gli altri si giudicano: in termini di rilevanza e di priorità. Con una prima, ovvia, difficilissima, concreta conseguenza: per definizione il mondo infermieristico dovrebbe essere promotore e parte attiva, anno dopo anno, di campagne per la ‘restituzione’ al SSN dei fondi per armi, guerra, contaminazione ambientale, energia fossile, che oltre a sottrarre risorse destinabili alla sanità, creano danni e spese insostenibili.

3. Uno dei nomi della pace, in una declinazione che vede il mondo infermieristico a tantissimi incroci con la società e tutti i suoi dis-valori più critici, è la cura. Indicatore-obiettivo molto suggestivo, rassicurante. Nella maggioranza degli scenari per i quali viene invocato, e dovrebbe essere applicato, questo termine fa scoprire scenari che non conoscono pace, sono di ‘guerra’. La cura dei pazienti psichiatrici è il primo permanente scenario esemplare. In tutte le varianti di popolazioni che si raccolgono sotto questa qualifica (e perciò gli umani concreti che sono feriti e soccombono nella loro dignità se non nella vita). La letteratura sanitaria, oltre alla cronaca civile, documenta una guerra antica: squallore, proporzionale alla carenza di risorse, allo stato sociale di chi sta male: ‘crimine di pace’ come lo chiamava un libro famoso nei tempi preistorici in cui si aveva il coraggio di ‘negare l’istituzione’ per promuovere comunità.2

4. Un’epidemiologia-monitoraggio di visibilità dei luoghi dove la cura dovrebbe esserci e non c’è dovrebbe essere un indicatore obbligatorio: quali-quantitativo, ma non per contare le persone che sono vittime, o i responsabili, ma per tradurre in pratica la cura possibile, e perciò i modi per ristabilirla. Essere per la cura-pace proibisce di rassegnarsi a soluzioni in cui chi ha bisogno è un peso, un invasore-consumatore di risorse: in qualche modo un nemico da combattere, o meglio, da ignorare così che non esista.

5. Il capitolo più importante nella letteratura, nelle pratiche, nell’utilizzazione degli indicatori è evidentemente quello dei numeri, in tutte le loro presentazioni: numeri assoluti o percentuali, grafici o tabelle, rappresentazioni per immagini che l’informatica ha reso possibili nei modi più affascinanti.

6. E non c’è dubbio che la possibilità di indicare in forma riassuntiva, numerica i problemi esistenti è un compito essenziale. Tanto più oggi in cui big data, real world evidence, modelli predittivi, algoritmi decisionali permettono di rappresentare la complessità del mondo in linguaggi che sembrano in grado di ricondurre complessità e incertezze a letture-interpretazioni che suggeriscono razionalità e linearità. 



cosa indicano i numeri


Ma che cosa ‘indicano’ di fatto i numeri? Prendiamone alcuni, recenti.


Rapporto OCSE 2023:3 spesa pro capite italiana in sanità 3709 dollari meno della Germania, 2339 dollari meno della Francia. Crolliamo al 9º posto per aspettativa di vita. Gli investimenti sanitari sono inferiori perfino alla media. I morti per inquinamento atmosferico sono il 70% in più della media. I 6,2 infermieri per 1000 abitanti ci qualificano come alieni rispetto ad una media di 9,2, che suggerisce che paesi dello stesso livello complessivo di sviluppo ne hanno il doppio. E lo stesso vale per i posti letto. Dove primeggiamo è per numero di farmacie, che si avviano ad essere le concrete-finte case di comunità: siamo al 3º posto nel mondo superati solo dal Belgio (di poco) e dal Giappone (alla grande).


Rapporto Caritas 2023,4 sulla povertà e l’esclusione sociale. Con oltre 5,6 milioni di poveri assoluti, pari al 9,7% della popolazione e a 2.187.000 famiglie, la povertà è una componente strutturale, in aumento, che sta creando uno stabile apartheid di diritti. La povertà degli stranieri è del 33,2%.

Il lavoro non è più una garanzia di vita nella dignità.

E si potrebbe andare avanti. I numeri come indicatori non mancano. Molto più rari quelli che incrociano i vari punti di vista e crescono, per fortuna, le mappe che esplorano e rendono visibili le situazioni locali.

La grande dissociazione è tra i numeri che descrivono i bisogni inevasi e crescenti e quelli che prevedono investimenti e interventi: la diseguaglianza (nella società e nella sanità) è in crescita e non è più considerata un indicatore di violazione dei diritti umani e costituzionali. I numeri stanno diventando sempre più uno degli strumenti più efficienti per nascondere le vite reali. Il problema non è solo italiano: è messo in evidenza beyond any reasonable doubt in tutto il mondo, ma come un dato che misura solo la velocità della concentrazione di ricchezze in pochi e l’esclusione dei molti. La sanità è ai primi posti nel documentare, con tanti numeri, che lo sviluppo scientifico della medicina si è trasformato ovunque, e anche in Italia, in uno strumento di discriminazione crescente rispetto all’accessibilità. Libri importanti di economisti ufficiali considerano ormai il mondo dei numeri e di tutte le loro elaborazioni un regno ideale per le fake news e per le bugie, quando si passa dalla descrizione di pezzi della realtà alla considerazione degli interventi da fare: gli indicatori dicono infatti a questo punto ciò che serve a confermare le scelte e i poteri esistenti. Non è una considerazione astratta: è ben descritta in termini di ‘grande imbroglio’5 in un libro che può essere preso come indicatore dell’urgenza di cambiamenti non banali.



e il mondo infermieristico?


Pur nella sua, certo eccessiva, sintesi, l’editoriale si è fatto troppo lungo. C’è solo spazio per conclusioni operative.

1. Immaginando la cura come uno dei nomi di un impegno di pace all’incrocio tra sanità e società, l’indicatore primo, da costruire con una direzione infermieristica, è quello di avere una progettualità concreta e di documentare la capacità di stabilire reti di epidemiologia-ricerca.

2. Compito di queste reti è quello di rendere visibile, in modo autonomo (pur con tutte le alleanze), con metodologie semplici, il punto di vista infermieristico sui bisogni inevasi delle popolazioni, e le corrispondenti carenze di una cura-pace. Si tratta di dare al mondo istituzionale e alla società l’indicatore forte e concreto che compito e capacità del mondo infermieristico è la produzione di una conoscenza che parte da dentro la cura, e si pone come termine di riferimento, e non principalmente come strumento esecutivo.

3. La cura-pace da parte infermieristica, in un mondo di guerre tra poteri, deve pensarsi come componente di una rete di alleanze, dentro e fuori la sanità, mirate a dare agli indicatori di comunità, prossimità, continuità assistenziale (… e via via) una visibilità diffusa e diversificata per renderle credibili: è un cammino lungo, non ci si può fidare di soluzioni standardizzate; l’indicatore più importante è quello di far vedere, e condividere, tanti progetti dove la componente infermieristica genera conoscenze che rendono le comunità più critiche, più autonome, più motivate ad essere protagoniste-soggetti dei loro diritti.

4. Sogni? Illusioni? …Non c’è dubbio. Avere il coraggio di immaginare-sperimentare futuro è in fondo la condizione minima per non lasciarsi intrappolare da numeri-indicatori di obbedienza-rassegnazione ad una guerra permanente, in cui alle persone concrete e fragili è assegnato il ruolo, con il numero dei loro morti, di dire chi è il vincitore.

5. Questo numero si completa mentre le piazze di Italia sono riempite in modo incredibile, per numerosità e per il rumore che supera una volta per tutte il silenzio-assenza di una cultura di potere antica come il mondo quale è quella del patriarcato. Con la loro risposta di pace-futuro, concreta e utopica, al riproporsi di una vera guerra come il femminicidio, queste piazze fucsia sono l’indicatore più certo della necessità e possibilità di immaginare-realizzare nuove regole (vedi pag. 216).



BIBLIOGRAFIA


1. Redazione (a cura della). Non ci sono vie per la pace, la pace è la via. Assist Inferm Ric 2022;41:2-5.

2. Basaglia F, Basaglia Ongaro F, Deduer V, Focault M, Castel R, Lourau R, et al. Crimini di pace. Milano: Baldini Castoldi Dalai editori, 2009.

3. Rapporto OCSE 2023. OECD Economic outlook, Interim Report September 2023. Confronting inflation and low growth. https://www.oecd.org/economic-outlook/september-2023/

4. Caritas. Rapporto povertà 2023. Tutto da perdere. https://archivio.caritas.it/ materiali/Rapporti_poverta/2023/rapportopoverta2023_tuttodaperdere.pdf

5. Mazzuccato M, Collington T. Il grande imbroglio. Roma: Editori Laterza, 2023.