Pro-memoria metodologico 2016

Gianni Tognoni
IRCCS-Istituto Mario Negri, Milano
Per corrispondenza: Gianni Tognoni, gianni.tognoni@marionegri.it


Sullo sfondo quotidiano dei fatti e dei volti – globali e di casa nostra, evocati negli scenari di pag. 46-50 – di sofferenze anonime e senza fine; di terrorismi dai nomi più diversi, delle guerre, delle migrazioni, degli attentati… – può suonare strano un editoriale che promette l’asettica neutralità di una riflessione sul metodo.
Il rischio di stonare (certamente possibile, ma che si è pensato valesse la pena di correre…) è peraltro lo snodo principale ed il motivo conduttore di una riflessione che si vuole proporre come prova di risposta ad un interrogativo provocatorio: quale cultura-prassi metodologicamente rigorosa serve oggi per chi opera in campo sanitario-assistenziale, lungo tutto lo spettro di attività e di competenze riconducibili ad un ambito sempre più comprensivo e perciò stesso sempre più indefinito-indefinibile?
Le 5 parole chiave di questa prova di risposta implicano certamente anche il rischio della ovvietà. A meno che…

1. Riconoscimento. Da sempre – ma sempre più a fondo, e strutturalmente – una metodologia appropriata ha senso se sono chiaramente predefiniti l’obiettivo che si sta perseguendo, i suoi perché, i suoi tempi, le sue misure. La criticità di questo pre-requisito è diventata discriminante a livello globale, e nell’infinita frammentazione-ripetitività delle situazioni locali.
I termini di salute-sanità possono infatti essere riconosciuti come indicatori di percorsi, linee guida, monitoraggi di appropriatezza, etc. che hanno come quadri di riferimento scenari opposti:
• le storie ed i destini di persone, popolazioni, situazioni di bisogni inevasi e di disuguaglianze-iniquità da evitare-sanare, riabilitare;
• le sostenibilità contabili-gestionali-organizzative di politiche dipendenti da modelli economici che considerano le storie individuali e collettive, come variabili confondenti da escludere o (ciò che è equivalente) come strumento soft da utilizzare come misure cosmetiche-surrogate (con punteggi quantitativi predefiniti, ma (con pretese di universalità) dei diritti di vita.

2. Disincanto. È termine complementare di ottimismo. Entrambi imprescindibili per chi vuole affrontare domande difficili come quelle del punto precedente, con rigore metodologico, cioè con l'intenzione di produrre risultati utili ed utilizzabili. Il disincanto coincide con il principio fondante della metodologia dell'ottimismo: quello di non escludere a priori nulla di ciò che è evidente ad un'analisi responsabile di ciò che esiste ed è pertinente al problema. Nell'ambito che qui interessa il disincanto mostra, (al di là di ogni ragionevole dubbio, secondo la logica statistica) che la coppia salute-sanità è progressivamente spinta verso il secondo degli scenari ricordati al punto 1. Basta scegliere a caso editoriali autorevoli1 o ripercorrere l'ormai mitico mantra dei SDG (sustainable development goals) che promettono un mondo più equo e senza povertà per il 2030, facendo scomparire magicamente, con l'incanto di buone intenzioni e parole qualitative, le evidenze, durissime, del crescere-crescente delle disuguaglianze.1-4
Il disincanto dice che le nostre scelte-priorità metodologiche non potranno più essere in continuità coerente con quello che siamo, insegniamo, pratichiamo. I nostri ruoli sono-saranno sempre più esposti al rischio di un bias metodologico strutturale: quello di non esplorare con rigore le ipotesi e le soluzioni più rilevanti per i bisogni, ma di offrire risposte, metodologicamente plausibili nella forma, a tesi/ipotesi pre-formulate in funzione di interessi che (senza nessun conflitto!) escludono valutazioni effettivamente controllate (in fase di pianificazione, sperimentazione, analisi).
Si tratta di un bias metodologico molto variegato: ritorno alle valutazioni descrittive giocate sul confronto tra il prima vs il dopo; quantificazioni medie di carichi assistenziali che sostituiscono storie rappresentativamente solide di vita; ruoli medico-infermieristici discussi-affermati in termini di compatibilità strettamente contrattuali e di poteri, dimenticando le tante epidemiologie dei diritti e della cittadinanza… (la letteratura – infinita, anche recentissima, è disponibile al di là delle citazioni possibile per un editoriale).

3. Ricerca. Vivere al punto di dis-incontro tra scenari tanto concreti e tanto dialettici come quelli sopra ricordati, coincide con l'identità stessa di questa rivista che coniuga obbligatoriamente ricerca con assistenza. Non c'è bisogno di insistere. Valgono anche qui citazioni esemplificative di pro-memoria autorevoli sulla centralità di sapersi professioniste/i responsabili con un'autocoscienza di ricercatrici/ori chiamate ad esplicitarsi-esprimersi come protagoniste/i di esperimenti di salute pubblica e di ruoli innovativi. 5-8
Il tempo sequestrato nelle discussioni (emotivo-ideologiche-mansionaristiche) sulla necessità della ricerca è il bias metodologico più facile, gettonato, pericoloso. Dà l'idea di essere parti-protagoniste/i del gioco. Di fatto coincide spesso con il chiamarsi fuori, per essere trasformate/i in spettatrici/ori (più o meno critiche/i) che finiscono per essere imbarcate/i sull'uno o l'altro treno.

4. Reti. Anche questa parola, come la precedente, è componente essenziale dell'identità di AIR, e non deve correre il rischio di cadere nell'ovvietà delle raccomandazioni. Con una sottolineatura tuttavia (che riprende i puntini lasciati aperti all'inizio di questa riflessione… a meno che…). Fare-essere reti è più che una esigenza metodologica. È una condizione di sopravvivenza. È uno dei modi per non essere travolte/i in tutti i bias sopra ricordati, senza neppure accorgersi. Reti cliniche, assistenziali, organizzative, epidemiologiche, monodisciplinari, multicentriche, interdisciplinari, di istituzioni locali, internazionali… In tempi di grandi trasformazioni, che toccano i tessuti culturali di cui si è fatti e si vive, è facile ritrovarsi ad essere frammentati, al servizio di altri interessi. 9 Solo ciò che fa rete: di sguardi, racconti, progetti, permette di attraversare frontiere, e di dare visibilità-credibilità-opportunità a chi pensa ad un futuro. Il film Fuocoammare (che parla di e fa vedere-parlare migranti) è forse simbolo perfetto di questo essere-creare reti, di essere autrici-ori allo tesso tempo individuali e collettivi: con la sua totale libertà e condivisione di sguardi, l'essenzialità di mezzi, la sua strategia di urgenza, il suo essere isola e mondo, l'ottimismo-disincanto, il leggere-usare-imparare la cronaca più banale e drammatica come strumento di ricerca e creazione di orizzonti e salvezza. Come tradurre questa parola chiave, tante volte ab-usata, in un promemoria di metodologia per n progetti ed n protagonisti?

5. Tempo. Nella navigazione – per mari, deserti, contratti, burocrazie, competizioni, corruzioni, interessi privati, stanchezze… – che questa prova di risposta ha iniziato per ricollegare rigore metodologico e lucidità di obiettivi, ci sono due (… certo di più…) ultimi bias-scogli di cui essere coscienti. Il tempo dell'efficienza. Il tempo delle scadenze. La tematica è troppo facilmente constatabile (da qualsiasi parte politico-partitica ci si schieri in questi ultimi tanti-pochi-tanto uguali anni…) da aver bisogno di illustrazioni. Gli acronimi globali tante volte evocati (MDG, SDG, UHC…); così come i riti più o meno localistici di elezioni che documentano sempre più (non solo in Italia) che coloro che si astengono sono la maggioranza che [non] decide, sono le espressioni socialmente più visibili. Il tempo senza tempo della crisi (che trasforma una logica da urgenza-terapia intensiva in una RSA senza obiettivi di dignità) è lo sfondo drammaticamente più visibile da parte di tutte/i. D'altra parte, l'adozione degli end-point surrogati – soddisfazioni, appropriatezze, contenimenti di risorse, … fino alla happiness come misura di vita – dà l'idea di come è difficile orientarsi nel tempo anche/soprattutto in salute/sanità.10-11
Non c'è metodologia predefinibile per sapere quale è il tempo necessario per raggiungere qualcosa di significativo. Ancora una volta: dipende dalla capacità-volontà di definire l'obiettivo, e di articolare gli obiettivi in strategie. Dipende dalla compliance con la complementarietà metodologica di ottimismo-disincanto. Dalla concretezza con cui si vive una identità di ricerca-rete. Dal ritorno al primo pro-memoria: il riconoscersi come soggetti in transizione con sguardi e storie che si devono continuamente ricreare.
Per concludere con due auguri che sono echi metodologici di Fuocoammare. Il primo viene dai mitici anni 70' quando le prove di risposta erano cammini: … la durata ha a che fare con gli anni, con i decenni, con il tempo della nostra vita: ecco, la durata è la sensazione di vivere 12
Il secondo è di un autore antico amico di AI&R: “Dicono gli scienziati che noi siamo fatti di atomi, ma un passerotto mi ha assicurato che siamo fatti di storie”.13
Non è letteratura: una rivista scientifica racconta, da un paese terrorista che l'UE continua a considerare come interlocutore privilegiato per controllare i migranti, che solo la vita può raccontare la vita.14


BIBLIOGRAFIA

1. Is “DevoManc” devolution, delegation or dismantling of the NHS? BMJ2016;352:i1668.
2. Pinzler P, Zeit D. L'accordo che affossa lo stato di diritto. Internazionale 1143:100.
3. Horton R. Offline: the rule of law-an invisible determinant of health. Lancet 2016;387:1260.
4. Sassen S. Espulsioni. Bologna: Il Mulino, 2015.
5. Aldridge RW, Capewell S, Greaves F, Johnson AM, Landon J, Lyons RA, et al. Public health Science conference: call for abstracts. Lancet 2016;387:1258-9.
6. Mandl KD, Kohane IS. Time for a patient-driven health information economy? N Engl J Med 2016;374: 205-9.
7. Porter ME, Larsson S, Lee T. Standardizing patient outcomes measurement. N Engl J Med 2016;374:504-6.
8. Iezzoni LI, Dorner SC, Ajay T. Community Paramedicine-addressing questions as programs expand. New Engl J Med 2016;374:1107-9.
9. Bauchner H, Golub RM, Fontanarosa PB. Data sharing. An ethical and scientific imperative. JAMA 2016;315:1237-9.
10. de Souto Barreto P, Rolland Y. Happiness and unhappiness have no direct effect on mortality. Lancet 2016;387:822-3.
11. Editorial. Health and happiness. Lancet 2016;387:1251.
12. Handke P. Canto alla durata. Einaudi, I coralli, 1995.
13. Galeano E. Essere come loro. Riv Inf 1992;11:43-7.
14. Bohannon J. Turkish scholar who eluded arrest descrive “witch hunt”. Science 2016;351:1381.