Europa 2019-2024: un’ipotesi di lavoro

Gianni Tognoni
Dipartimento di Anestesia - Rianimazione e Emergenza Urgenza, Fondazione IRCSS Ca’ Grande Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
Per corrispondenza: Gianni Tognoni, giantogn@gmail.com


È difficile, ed in un certo senso impossibile, chiudere – in coincidenza cronologica con i risultati delle elezioni europee – un numero di una rivista che si propone come strumento di ricerca per un capitolo così importante per la salute pubblica come l’assistenza infermieristica, senza provare a porsi domande e ad immaginare futuro. Non è certamente questo il luogo né lo strumento per una riflessione su vinti e vincitori. Il solo dato certo è molto semplice: tutte/i siamo entrati in un tempo di ricerca come abitanti, cittadini, per definizione responsabili, di una regione che nel mondo globale gioca un ruolo determinante: per la sua economia innanzitutto (siamo il territorio-mercato più ricco e diversificato) ma più a fondo ancora per una memoria, storia, struttura sociale-cultura che non sono state né potranno essere neutre rispetto a quanto si svilupperà nei prossimi anni in Europa e nel mondo, e quindi anche in Italia.

Di questa non neutralità tutto ciò che succede alla vita delle persone è una componente essenziale: è tutto quanto si vive (nei più diversi ruoli) nella sanità (e più ancora nella storia della salute, di cui la sanità è una espressione) è prodotto ed insieme indicatore di quanto accade – o può accadere, nell’Europa 2019-24.

I punti che seguono provano a mettere in comune, per una riflessione che vorrebbe coincidere con la formulazione di un’ipotesi di lavoro per la professione infermieristica: sempre che valga l’ipotesi antica che l’identità-legittimità dell’assistenza coincidano con la care del vivere delle persone.


per un’agenda di ricerca-cultura

Il perno attorno a cui una ricerca trova il suo senso e peso è la serietà metodologica con cui formula ed esplora una domanda vera. Qualcosa che non si sa, ma per cui è rilevante trovare una risposta. Esiste un consenso trasversale (non condiviso nei contenuti ma assoluto nei fatti) che l’Europa è una somma di domande senza risposta credibili e praticabili.
1. La prima domanda, che è anche quella che riassume e condiziona tutte le altre è: chi, e dove sono, e come vivono i cittadini? Cioè coloro che hanno diritto ai diritti fondamentali in questo luogo-tempo che si vanta di essere protagonista-garante di pace (l’Unione Europea nel 2012 ha ricevuto persino un premio Nobel), perché ha esportato altrove e sostenuto, imposto (anche se certo, non solo) le guerre: quelle della povertà, dell’ambiente, dello scambio ineguale. In un mondo globale, le guerre esportate tornano anche a casa (chi si ricorda ancora di Jugoslavia-Kossovo? Ucraina? Turchia? La memoria è difficile quando deve fare incrociare geografia e storia). I migranti ne sono il simbolo più tragico, che nonostante tutti gli sforzi, non si riesce a nascondere. I malati a morte – quanti? si possono contare? – di tubercolosi nei lager della Libia, mostrati persino al telegiornale, sono gli ultimi ad avercelo mostrato. Ci sarà un tempo di ricerca di trasparenza per questa Europa che si proclama patria di diritto? Come si fa ad essere cittadini specializzati in care in tempi di guerra?

2. La trasparenza sui migranti è strettamente congiunta alla ricerca di trasparenza sulla disuguaglianza, la povertà, la fragilità, che sono diventate protagoniste (senza risposte affidabili, con tante parole e altrettante negazioni di risorse) un po' in tutti i paesi. Italia in testa. Se ne è parlato – e si continua  a parlarne, anche su queste pagine (pag. 99). Le fonti autorevoli e con molto potere come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, OMS, l'ISTAT, l'universo degli economisti, sono unanimi nel sottolineare con sempre più forza determinanti sociali della salute. La domanda sui contenuti e le implicazioni del diritto alla trasparenza sui bisogni inevasi ed evitabili – nella sanità, nella scuola, nella dignità della vita – è molto esplicita e certo  prioritaria rispetto ai tanti dibattiti su privacy e sicurezza dei dati, ma  oggetto di dispute, di formazione, di burocrazia che sembrano più a misura della trasformazione burocratica della sanità che al servizio  più efficiente delle persone. Se i determinanti sociali non diventano visibili, non per essere descritti ma adottati e resi soggetti-destinatari di risposte non ci sono sistemi sanitari che tengano. Quanto sta succedendo in Italia, aggravato dalla crescente divisione-polarizzazione economica e politica Nord-Sud è un segnale che non si può ignorare.
C’è spazio per questa trasparenza:
• nell’insegnamento – nella formazione di base e permanente;
• nella sorveglianza-valutazione delle politiche;
• nel quanti-qualificare in vista di pianificazioni innovative, le tante care per le fragilità?
E se il mondo infermieristico trovasse in questa epidemiologia-ricerca di trasparenza un suo ruolo – non solo in Italia, ma in Europa?

3. Una ecologia umana è l'altra grande domanda. Le nuove generazioni che sono confluite nel movimento Fridays for the future hanno dato voce e visibilità a qualcosa di cui tutti parlano, e su cui poco si fa, anche per il legame tra ambiente, clima, salute. Ci sarà uno spazio per questa conoscenza nella professione, non come informazione occasionale? Con la coscienza che la condivisione delle domande con le nuove generazioni dovrebbe/potrebbe trovare una risorsa importante: non tanto né principalmente di tipo assistenziale, ma nel contribuire ad un processo di trasformazione culturale che rende tutte/i coloro che si sentono cittadini di un luogo/tempo di ricerca titolari di una stessa responsabilità. E si può pensare anche in questo ambito a stimolare-creare piattaforme europee per scambi reali e piattaforme di ricerca di medio-lungo periodo?

4. Grappolo di domande più interno alla sanità:
• accessibilità ai farmaci ed alle tecnologie;
• l’eccesso ingiustificato dei costi;
• la dissociazione tra chi troppo ha e chi è in perenne lista di attesa di tecnologie-strategie appropriate.
Si è tutti i giorni testimoni non solo dell’esistenza della domanda, ma delle implicazioni delle non-risposte. È pensabile di mettere formalmente nell’agenda di ricerca infermieristica questo capitolo (pag. 104) ben collegato-intrecciato con quelli precedenti? Non è pensabile, anche qui, abituarci a pensarci cittadini di uno stesso paese, mettendone in evidenza la variabilità ed i determinanti, le soluzioni possibili, gli esiti clinici, economici e professionali? O si lascia solo al mercato il compito delle omogeneizzazioni, della creazione della compliance obbediente o rassegnata a pratiche che si pretendono riconducibili a linee guida o a LEA basati su “evidenze”?

5. Il capitolo del lavoro (nel suo senso più di base di mansioni, contratti e garanzie è senz'altro più che centrale come domanda seria per una ricerca. Certo qui interessano soprattutto contenuti vicini: come l'organizzazione incroci bisogni-diritti (di pazienti e infermieri) È proprio certo che l'unica (o quasi) risposta che si propone-usa sia il rapporto tra infermieri e posti letto (o indicatori simili)? La sanità è riconosciuta (ovunque) come una delle aree di produzione a più alto bisogno di diversificazione, in quanto il prodotto-cura dovrebbe essere il più personalizzato: conoscitivamente, tecnologicamente, a livello di dimensioni personali, di condizioni di vita… tutte cose note. La domanda, non ha risposte, né ricerche corrispondenti al bisogno. Si accetta un'unica camicia di forza, che è quella della sostenibilità economica. Si ascoltano esperti di budget e di mansioni. E se infermiere/i esperte/i di pazienti divenissero produttori di conoscenze alternative/complementari, privilegiando l'epidemiologia delle storie e degli esiti, rispetto alla misura delle procedure?

6. I diritti affermati e violati, individuali e collettivi, sono entrati a far parte del linguaggio corrente. Tutti ne parlano. Tutti li promettono. Nei corsi, anche infermieristici, forse, si insegnano: con diversi nomi, dai codici deontologici alla bioetica. Quando si scorrono le riviste infermieristiche (come quelle mediche) è tuttavia desolante vedere come il discorso dei diritti sia confinato (magari con l'aria di dargli più importanza) negli editoriali, nelle affermazioni, nei ragionamenti etici. Una cultura europea dei diritti (previsti, attribuiti, violati, impediti, ignorati, rimandati…) potrebbe essere un contributo importante della ricerca infermieristica. Con ricerche epidemiologiche che comparino le popolazioni più fragili, o quelle più a rischio di non ricevere risposte possibili, o quelle più ricordate delle/dei diseguali. È stata un'infermiera inglese, Florence Nightingale (di cui l'anno prossimo ricorrerà il 200 esimo anniversario della nascita), che tanti anni fa introdusse nel mondo, nel cuore delle guerre di allora, l'interpretazione di un diritto umano dell'habeas corpus, il diritto a ricevere le cure in un ambiente idoneo, per chiunque: la presa in carico infermieristica ne era l'indicatore. Che sia tempo di riprendere quell'intuizione? Sui campi delle guerre a bassa intensità, di tutti i giorni: come almeno eco e continuità del lavoro infermieristico, tanto poco conosciuto, poco raccontato, sui campi di guerre vere. Si potrebbe continuare. Le domande sono tante: soprattutto quelle in attesa di risposta. Un po' il discorso continua nella altre pagine di questo numero, nei modi più diversi. Facendo vedere che tecnicamente si è capaci di interagire con altre professioni sanitarie (pag. 66); di interessarsi e confrontarsi con la fragilità (pag. 87) di avere a disposizione stimoli metodologici che provocano-obbligano ad essere libere/i e creative (pag. 86), di poter collegare culture diverse (pag. 99).

Altrettanti auguri/impegni, essendo cittadini-professionisti di un mondo che soprattutto in una logica infermieristica, non può avere frontiere di professioni, di cultura, di strategie di assistenza, se vuol essere tempo e luogo di ricerca per risposte inclusive a misura dei bisogni, e dei sogni, delle persone.