Familiari e badanti: nostri alleati
o concorrenti?

Valerio Dimonte,1 Anna Brugnolli,2 Luisa Saiani3
1Università degli Studi di Torino
2Polo Universitario, Azienda Provinciale per i Servizi sanitari, Trento
3Università degli Studi di Verona
Per corrispondenza: Luisa Saiani, luisa.saiani@univr.it


Molte Regioni hanno affrontato con vari interventi il sostegno della permanenza a domicilio dei pazienti con malattie croniche invalidanti e bisogni assistenziali complessi. Tali interventi vanno dall’accesso facilitato ai servizi di assistenza domiciliare integrata pubblici o convenzionati, o da forme di assistenza indiretta come l’erogazione di un assegno di cura mensile, ad azioni di formazione rivolte ai soggetti con funzioni di caregiver.
Alcune Regioni, in risposta alle richieste delle Associazioni di malati e familiari, hanno assunto delle decisioni per preparare e autorizzare i caregiver a svolgere attività sanitarie. In questo editoriale si propongono alcune riflessioni a partire da una iniziativa della Regione Emilia-Romagna, che ha sollevato un vivace dibattito e che vogliamo utilizzare come occasione per riflettere sui rapporti tra infermieri e caregiver: tematica sulla quale la professione ha molta esperienza nella pratica quotidiana, ma ha ancora molte pagine da scrivere per esplicitare come pensa di relazionarsi nella complessità di bisogni e interventi di cui sempre più le famiglie si fanno carico e per cui rivendicano un ruolo più attivo.


la storia

Con delibera 220 del 24 febbraio 2014 “Indicazioni sui percorsi relativi alle pratiche assistenziali eseguite da personale laico su pazienti con malattie croniche, rare o con necessità assistenziali complesse”, la Regione Emilia-Romagna ha affrontato il problema del ruolo dei caregiver, familiari e no, nelle pratiche assistenziali a domicilio. Le motivazioni nella premessa della delibera sono: “…le malattie croniche, le malattie rare ed in generale tutte le patologie caratterizzate dalla necessità di alta complessità assistenziale necessitano spesso di interventi sanitari periodici, frequenti, e da effettuarsi in tempi rapidi e non sono sempre pianificabili ed erogabili attraverso l’assistenza domiciliare integrata, tanto da costringere anche i pazienti stessi, i familiari e i caregiver ad eseguire manovre sanitarie domiciliari. I bisogni dei pazienti sono altamente complessi e si estendono sull’intero arco della giornata, rendendo a volte non garantibile l’Assistenza Domiciliare Integrata. In particolare i pazienti allettati o privi di autonomia motoria, impossibilitati a recarsi presso gli Ospedali, devono ricevere terapie anche in tarda serata, per rispettare i corretti tempi di somministrazione dei farmaci, che possono essere difficilmente offerte attraverso l’Assistenza Domiciliare Integrata” .
La Delibera afferma inoltre che “…nonostante l’esecuzione di tali procedure richieda specifiche conoscenze in campo sanitario, la necessità sopra richiamata di intervenire con rapidità e in tutto l’arco della giornata, coniugata con quella di restituire più autonomia possibile al paziente e alla sua famiglia, determinano l’impossibilità di assicurare loro la costante assistenza di personale sanitario. In tale contesto talune pratiche possono essere eseguite, correttamente ed efficacemente, anche da personale non sanitario, purché specificamente addestrato e operante dietro prescrizione medica, con un vantaggio per la salute, il controllo del dolore e la qualità di vita dei pazienti, oltre a garantire un risparmio di tempo ed un’ottimizzazione delle risorse umane attualmente sempre più scarse…” .
Nella delibera si propone di attivare percorsi di formazione di pazienti, familiari e caregiver permettendo loro di eseguire le manovre sanitarie descritte sotto la voce contenuti del corso che vanno dal periodico cambio della postura, all’aspirazione delle secrezioni delle alte e basse vie respiratorie, alla gestione degli accessi vascolari a medio e lungo termine, dei cateteri venosi centrali, di sondino naso gastrico, gastrostomia, colostomia cateterismo intermittente, urostomia, dialisi peritoneale, alla medicazioni di lesioni cutanee e somministrazione di farmaci per tutte le vie.
Questa formazione era demandata ad Aziende Sanitarie o strutture hospice accreditate, responsabili anche della valutazione dell’idoneità del caregiver. Il riferimento a ruolo dei professionisti sanitari (infermieri e medici) era molto blando e per lo più come docenti del corso.
Le reazioni alle scelte di questa delibera sono state molto forti da parte della professione e si focalizzavano sulle seguenti questioni:
• quali conseguenze poteva avere il provvedimento, in parte ispirato anche da necessità di spending review, in termini di ridimensionamento dei servizi di assistenza infermieristica domiciliare e di opportunità di lavoro per gli infermieri?
• può una delibera regionale, in un allegato con i contenuti di un corso, attribuire a figure laiche l’esercizio di attività sanitarie?
• alcune attività quali aspirazione delle secrezioni delle alte e basse vie respiratorie, gestione degli accessi vascolari, possono configurarsi come abuso di esercizio professionale?
• l’idoneità prevista dalla delibera in seguito all’addestramento era contestuale per quel paziente/familiare o poteva essere trasferita e praticata successivamente anche ad altri?

Le molte prese di posizione del Sindacato Nursind e dei Collegi IPASVI affermavano che il ruolo di familiari e badanti è insostituibile e deve essere rafforzato ma non si può chiedere loro di sostituirsi a chi, per legge e formazione, garantisce il diritto costituzionale alla salute. Hanno avuto tuttavia l’effetto di aprire un confronto con la Regione Emilia-Romagna che ha successivamente approvato delle modifiche (delibera 1227/2014) ridimensionando in parte l’impianto e riducendo i compiti attribuiti ai caregiver. Le attività assistenziali demandate sono soprattutto di assistenza di base, monitoraggio e uso di apparecchiature e dispositivi medici di sostegno alle funzioni vitali e di controllo del dolore. Le attività formative ora previste dovranno “…essere tutorate da un infermiere, la valutazione della preparazione alla conclusione dell’addestramento è affidata al gruppo didattico” e l’affermazione più importante è che le attività per cui il caregiver sarà preparato a svolgere con il corso potranno essere realizzate esclusivamente per il paziente individuato.
Tuttavia se sul piano politico l’orientamento della Regione è stato ridimensionato, molti problemi di relazione tra professione infermieristica, servizio sanitario e caregiver rimangono aperti:
• l’elemento positivo del dibattito sollecitato dalle decisioni delle Regioni è di aver fatto emergere un mondo sommerso di attività svolte da familiari o badanti, che eseguono attività di accudimento, spesso anche a carattere sanitario; l’impatto di questo fenomeno dal punto di vista di salute ed economico (sopravvivenza, effetti avversi, riduzione delle istituzionalizzazioni, ecc.) non è stato oggetto di valutazione né all’interno della sanità né della professione infermieristica;
• le famiglie di pazienti cronici con malattie invalidanti gestiscono a domicilio bisogni assistenziali complessi, frequentemente con il supporto di servizi di assistenza domiciliare, l’aiuto di badanti o altre forme private;
• la domanda che riteniamo centrale alla questione: è possibile affidare al caregiver attività di cura che sono di norma di pertinenza infermieristica?

La storia e l’esperienza ci riportano a molte situazioni nelle quali il paziente e il familiare autogestiscono pazienti anche molto complessi: con insufficienze renale cronica e dialisi domiciliare o peritoneale, spesso con l’aiuto di un caregiver; o in trattamento anticoagulante dove lo stesso paziente misura l’INR e regola la dose di farmaco.
Quale è la differenza tra queste situazioni già consolidate con lo scenario previsto dalla Regione Emilia-Romagna e che ha fatto tanto scalpore?
Nelle situazioni già consolidate come l’emodialisi, l’addestramento del caregiver avviene all’interno di un progetto assistenziale dove medico e infermiere hanno precise responsabilità e formano quel caregiver o quel paziente, valutandone capacità, motivazioni e su questa base modulano il livello di abilità e autonomia da attribuire, mantenendo una costante supervisone.
Nella proposta di delibera i caregiver vengono autorizzati con brevi corsi di formazione: la centratura è sulle attività, a prescindere dalle caratteristiche e dalla situazione del paziente.
Il nodo sta nella la differenza tra il caregiver che ha imparato la tecnica di aspirazione al corso, il caregiver che ha imparato ad aspirare il suo familiare in quanto partner del progetto di cura con medico di medicina generale e infermiere e nella tecnica eseguita da un infermiere. Proponiamo alcuni esempi per analizzare la differenza tra queste situazioni:
– il caregiver che ha imparato la tecnica di aspirazione al corso conoscerà e saprà eseguire sul manichino la sequenza standard prevista, senza quelle conoscenze indispensabili per contestualizzarla e attuarla in sicurezza. Potrebbe forse sviluppare una falsa padronanza tanto da proporsi per queste prestazioni sul mercato;
– il caregiver che ha imparato ad aspirare il suo familiare in quanto partner del progetto di cura con medico e infermiere sarà istruito in modo graduale a riconoscere quando eseguirla, la modalità e la frequenza più tollerate dall’assistito, il grado di collaborazione che può richiedere; l’addestramento sul campo e con quel paziente terrà conto di comorbilità e rischi per l’assistito, pertanto l’abilità affidata al caregiver sarà non tanto la tecnica ma come aspirare, e con quale profondità in base a rischio/tolleranza di quel paziente;
– la competenza dell’aspirazione esercitata da un infermiere comprende non solo la tecnica, ma soprattutto la valutazione del rischio-beneficio, la capacità di interpretare segni e sintomi del paziente per modulare l’intervento in base alla situazione, l’identificazione precoce di segnali di allerta che richiedono l’intervento di un altro professionista, la capacità di intervenire in caso di complicanza.

Per concludere, la questione cruciale non è se affidare o no ai caregiver tecniche di nostra competenza, ma come proporci con una elevata competenza educativa e progettuale che non può esaurirsi con spiegazioni o semplici istruzioni, ma va organizzata in momenti individuali o di gruppo, con metodologie di addestramento e simulazione alle quali far seguire un tutorato sul campo per aiutare il caregiver a personalizzare e modulare gli interventi sul suo assistito, e una funzione di supporto e supervisione.
La sfida è anche quella di far percepire ai caregiver che l’infermiere, in forte integrazione con il medico di medicina generale, ha un progetto e una regia del percorso assistenziale e soprattutto che conosce profondamente la storia dell’assistito e della sua famiglia; garantisce una costante sorveglianza e valutazione degli esiti, e deve sentirsi responsabile dei risultati sia delle proprie azioni che di quelle dei caregiver.

Certo, occorre che ci siano infermieri a sufficienza e che siano preparati per tutto questo.