Per un ascolto infermieristico all’estate 2018

Gianni Tognoni
IRCCS, Istituto Mario Negri, Milano
Per corrispondenza: Gianni Tognoni, gianni.tognoni@marionegri.it


Fose un po’ strano questo editoriale che propone un ascolto ad una stagione che è consacrata al prendere distanza dal quotidiano, soprattutto quello lavorativo e professionale, per ricreare spazi ed opportunità per altro: sapendo bene che questo altro è l’aggiornamento più certo per assicurare lucidità e intelligenza.
Non c’è dubbio che nessuna/o ha potuto essere sino in fondo altrove rispetto a due eventi che hanno invaso la cronaca, l’attenzione, l’emotività, la politica di questa estate. Da una parte la drammaticità dell’evoluzione – umanitaria, istituzionale, di opinione pubblica – del capitolo migranti-migrazioni, che non ha certo bisogno di essere evocata nei dettagli. Dall’altra la vicenda a sua volta tragica – per i 43 morti, e gli sfollati, e per tutto ciò che intorno si è scatenato ed è in piena evoluzione a livello politico ed istituzionale – del crollo del ponte Morandi, che è divenuto simbolicamente, oltre che concretamente, centrale di uno degli snodi di fondo del modello di sviluppo, dei rapporti tra il pubblico ed il privato, dei beni comuni, delle grandi opere, della trasparenza istituzionale ed industriale. Senza dimenticare – sul fronte del lavoro – ILVA, il caporalato… Estate molto affollata, che rende impossibile una distanza.
Si potrebbe dire: ma che c’entra tutto questo con il mondo e gli interessi infermieristici, tanto da proporre ascolto quasi per un aggiornamento atipico? A far decidere in favore di una riflessione che parte dal rumore di fondo, per quanto fragoroso, della cronaca, sono venuti alcuni contributi.
Da una parte un lavoro storico che si propone come Prospettiva (le ragioni sono esplicitate nell’introduzione redazionale) (pag. 149); dall’altra una serie di contributi riflessioni su un tema di moda nel mondo infermieristico, le missed care (pag. 136-144). Proprio le risonanze – sempre, inevitabilmente, molto diverse – di questo termine, care, tanto intuitivo e tanto intraducibile, ma senza dubbio centrale nell’identità di fondo e nella professionalità quotidiana del mondo della sanità e dei ruoli in forte evoluzione del mondo infermieristico, hanno suggerito alcune riflessioni. Una proposta, (formulata in modo originale dall’editore di AIR) racconta della storia sostanziale ed editoriale dell’emergenza della care come diritto nel SSN, ed in quanto tale come indicatore privilegiato ed obbligatorio di riferimento, culturale ed operativo, lungo tutte le evoluzioni della società e del SSN, fino ad oggi (pag. 158).
I motivi, gli strumenti, i contenuti per un ascolto ci sono tutti


augurio di ascolto

Tema comune per l’ascolto è una domanda: hanno ancora senso, e come, le parole fondanti le tante traduzioni che è necessario ri-dare in contesti sempre in evoluzione, al termine care? Quelle che seguono sono sembrate pertinenti per fare del care un luogo di incontro, di resistenza, di ricerca.

Umano/i. È il termine imprescindibile. Nelle sue declinazioni più diverse: nel diritto, nella sanità, nei comportamenti. È quello che fa da sfondo-riferimento per tutte le strategie di presa in carico. È lo stesso adottato come ritornello, Restiamo umani, da un giovane italiano, Vittorio Arrigoni, incredulo davanti alla guerra senza limiti di Israele contro i palestinesi, e a sua volta in-umanamente assassinato per il suo ruolo di pace. Oggi il termine è ufficialmente e globalmente a rischio di scomparsa, manipolazione, proibizione. Nel linguaggio contro i migranti/neri/altri. Nelle legislazioni sovraniste. Nelle impunità per i poteri violenti.
Ma, in fondo, e più vicino al quotidiano, in tutto ciò che fa scomparire le persone dalla care, per sostituirle con procedure, costi, tecnologie. Quando e come sono non – umani i LEA definiti, con l’aiuto complice di economisti, da tecnici che ne fanno i sostituti delle storie reali delle persone? Quale è il peso di in-umanità delle missed care per carenze di organico, contenzioni, liste di attesa? Quali sono e come si definiscono e si rendono visibili, le mappe socio-sanitarie della non-care per disuguaglianza socioeconomica, culturale, razziale? Qual è l’epidemiologia, al di là di quella globale, della missed care evitabile?

Dis-obbedienza. È la parola-linea guida per orientarsi in territori complessi, difficili della dis-umanità. L’obbedienza all’umano (alla sua ricerca, al rispetto, alla restituzione) è la linea guida inviolabile a ciò che si deve [almeno cercare di] fare la dis-obbedienza deve essere a sua volta obbligatoria: con la stessa forza, singola e collettiva, rispetto anche solo al rischio di dis-umanità. Il contributo di pag. 149 è un buon promemoria professionale ed istituzionale.

Missed care. L’attenzione in questo numero a questo trend emergente di ricerca/responsabilità è molto importante: purché la compliance abbia come termini di riferimento variabili forti-chiare che al di là delle procedure, più o meno mancanti-omesse, garantiscono la visibilità delle persone coinvolte: da quelle responsabili della care, alle vittime, più o meno gravi, della sua assenza-sottrazione-impraticabilità. In un tempo che ci vede obbligate/i a documentare le dis-uguaglianze, il termine obbligatorio minimo per fare della constatazione della care in-sufficiente, im-propria, in-accessibile l’unica care accettabile è quella che, come decisione etica e di ricerca, mira ad eliminare i prefissi in-.

Volti. Per un SSN- come sistema, e come prassi personale dal volto umano, è importante ritrovare l’antica tradizione-cultura di sapere-praticare una care che si dà il tempo, la capacità, il gusto, la condivisione di una relazione fatta di sguardi, di parole scambiate, di una personalizzazione reale, che è l’antidoto imprescindibile per tutte le pratiche e le epidemiologie concentrate sulla malattia e non sui loro soggetti. I volti delle donne violate, dei bambini annegati, dei migranti terrorizzati di essere respinti raccontano un’epidemiologia più forte e più scientifica di tutti i numeri e le percentuali. I volti reali, con tutte le storie che rappresentano e che ci guardano, sono il ponte più certo e dirimente tra tutte le discussioni sulla complementarietà tra qualitativo e quantitativo. Come negli istagram, così di moda tra i giovani: ai tanti volti che si incrociano basta aggiungere un termine con o senza in- per sapere quale è il cammino che si sta percorrendo: [in-]umano, [in-]degno, [in-]utile, [in-]evitabile…


per un ascolto dell’estate fatto di persone

La cronaca di questa estate 2018 non è stata solo di dis-incontri: è stata abitata anche da volti da cui è bene provare lasciarsi guardare:
Le donne argentine, scese in piazza, a milioni – dopo essere già state all’origine del movimento me-too contro la violenza e gli abusi – per dis-obbedire alla legislazione machista ed ideologica, che ne ha ancora negato la libertà di scelta per la gestione responsabile dei diritti sessuali e riproduttivi.
La festa di tutte/i in India, per il riconoscimento legale della non-discriminazione, sociale e giudiziaria, di donne, uomini, omosessuali;
Il riconoscimento, per quanto timido, da parte della Corte Penale Internazionale, del crimine di genocidio contro l’umanità, delle donne, dei bambini, degli umani dei Rohingyas.
I volti, da andare a riconoscere-ascoltare su internet, delle donne kurde di Kobane e di Afrim, nelle terre di guerre senza fine di Siria, Iraq e Turchia, che hanno inventato e difeso la loro dignità, non solo combattendo, ma sperimentando nuovi modelli di società.
Il volto e la storia di Luigi Cavalli Sforza, il grande genetista che se ne è andato, con i suoi 96 anni, avendo lasciato al mondo sempre più globale e razzista, come eredità scientifica, culturale e umana, le sue mappe genetiche che dimostrano che il DNA umano è migrante, e la migrazione è la ricchezza più imprescindibile della nostra identità di umani.
I 105 anni di Pahor (scrittore e testimone diretto delle discriminazioni verso la sua minoranza, quella slovena, e della deportazione durante la Seconda Guerra Mondiale): il suo volto è di per sé una storia, ed i suoi libri, da leggere. Grande, e perennemente resistente a tutte le in-umanità di tutte le guerre e dittature.
– I tanti migranti italiani di oggi e la loro epidemiologia, (raccontati in “Quelli che se ne vanno” di E. Pugliese, Il Mulino) che sono memoria, presente e futuro, di un Paese che ricorda quest’anno i propri minatori morti a Marcinelle 50 anni fa, ma pretende di chiudere frontiere ed accoglienza.
– Il sindaco, e tutta la popolazione, che hanno fatto conoscere la piccola Riace nel mondo, al di là dei suoi Bronzi, come la documentazione che chi è migrante, non è invasore-minaccia, ma opportunità che stimola alla creatività, perché la dignità per tutte/i è possibile.

Con l’estate 2018 si è conclusa anche la storia di Mariuccia Ottone, un’altra delle fondatrici di questa rivista: volto e voce che nessuna/o di chi l’ha conosciuta può dimenticare (pag. 118). Le riflessioni qui proposte sono anche eco e continuazione della sua presenza: ed un grande grazie.