Novità antiche, obbligatorie, guardando al futuro.
All’ascolto del New England Journal of Medicine

A cura della Redazione

Ricordando Willi Monteiro Duarte
ed i migranti di Moira-Lesbo


Il promemoria metodologico che si era deciso di proporre come riflessione per il dopo Covid-19 (pag. 147) si è pian piano trasformato in un immaginario ottimista che si potrebbe così riassumere: per avere qualche speranza di non ricadere nel lockdown culturale, politico, sociale (più che fisico) che ci ha accompagnato (con tanti morti) è necessario porsi in una logica di sperimentazione innovativa e complessiva: della nostra cultura, perché solo con questo atteggiamento di fondo e di lungo periodo possiamo trovare risposte che non ci affaccino ad uno stesso passato.
Mancavano alla proposta, già tanto estesa, le parti che in un protocollo finiscono sempre in fondo, destinate ad una attenzione solo formale: gli aspetti etici, e la trasferibilità dei risultati. Ad obbligare a riparare a questa mancanza – imperdonabile, se si parla di una sperimentazione critica per l'identità stessa della professione, e per la sua collocazione nel contesto della sanità e della società – ci ha pensato l'incrocio con due contributi del NEJM che si è pensato potessero divenire i veri protagonisti di questo editoriale. Per la loro chiarezza, per l'autorevolezza dei loro autori, che rappresentano alcuni dei gruppi che più sono in questo momento rappresentativi della resistenza della comunità scientifica americana alla deriva politica ed etica di quel paese; per il linguaggio senza fronzoli con cui affrontano, fin dai loro titoli1,2 le due domande centrali del tempo che ci sta davanti: siamo coscienti di essere ad una frontiera di civiltà, nella quale la salute-vita è un indicatore? È possibile fare dei tempi incerti che ci accompagnano nell'area del Covid-19 un esercizio di intelligenza, di reciproca comunicazione, di costruzione di una comunità informata e responsabile?
Più che ad un riassunto del loro contributo si è optato per una vera e propria proposta di ascolto: riproducendo alcuni pezzi salienti, che sono un invito a leggere tutto, ma che ci sembrano esemplari di un linguaggio che dovremmo includere negli impegni di futuro.

“L'equità in campo sanitario è un concetto semplice, ma difficile da tradurre in pratica. Le inequità sono diseguaglianze ingiuste, evitabili, non necessarie, che possono essere ridotte o eliminate: l'equità non è altro che l'assenza delle differenze evitabili tra i gruppi socioeconomici e demografici od economici in termini di malattie e mortalità. Gli Stati Uniti, il paese più ricco del mondo, ha fallito nel garantire questa equità. Nella tempesta perfetta della pandemia viviamo la triade letale di diseguaglianze, iniquità, discriminazione nell'accesso ai servizi: che si traduce nel quotidiano bollettino dei morti. Siamo spettatori dei risultati di politiche che tollerano finanziamenti inadequati di ciò che è pubblico, diritto di tutti, e marginalizzazione economica, educativa, giuridica delle minoranze”.1

Non è difficile riconoscerci in questo quadro: e ancor più proiettarlo a quello, ancor più drammatico, dei paesi più poveri, ed ancor meno citati, che fanno parte delle cronache di guerra cui ci si è abituati negli ultimi mesi: dal Brasile, all'India, a tutti i nomi che si vogliono aggiungere: fino a quello di Moria-Lesbo con il popolo senza patria né speranza dei migranti. 
La prospettiva continua con una serie impressionante di dati che documentano come:

“Ciò che succede in sanità, e che il Covid-19 ha semplicemente fatto ancor meglio vedere, trasversalmente alle razze, ai sessi, alla geografia, non è altro che il microcosmo permanente della società: la sanità rende visibile fino a che punto il diritto o meno alla salute è il prodotto di una politica che ha progressivamente dimenticato le sue radici di diritto e di uguaglianza, ed ha intrappolato le tante diseguaglianze in una cascata di marginalità cha vanno dalla povertà, alla mancanza di casa, alla disoccupazione, al destino delle nuove generazioni; l'età pediatrica costituisce il gruppo più svantaggiato: 11,9 milioni di bambini vivono nella povertà, il 73% di loro sono neri, Ladinos, con livelli assicurativi ancor minori degli anziani, concentrati negli stati del Sud. La violazione del contratto sociale basato sull'autodeterminazione, l'equità, uguaglianza ha creato una situazione di ingiustizia che precede il Covid-19, e ne condiziona il 'dopo'. Capovolgere questo stato di cose richiede un attacco frontale agli abissi di 'distanza sociale' che minacciano minoranze, donne sole e con figli, segregazioni di ogni tipo, per genere, razza, educazione. Riconoscere la salute-sanità come diritto umano, senza aggettivi limitanti ed escludenti è il punto da cui ripartire e la misura di civiltà del paese”.1

Il vaccino è diventato il mantra da attendere. Tutte le cronache ne parlano. Il loro insieme dice semplicemente che il Covid-19 sta riproducendo il rischio di aggiungere alle tante guerre civili, non dichiarate come quella appena ricordata, una guerra economica che mette in competizività le grandi potenze politiche ed economiche, degli Stati, delle multinazionali, dei filantropi che sono i proprietari privilegiati non solo delle ricchezze concrete, ma anche delle reti di comunicazioni dei social e della distribuzione (…i dati che documentano quanto Amazon e Bill Gates hanno guadagnato in tempi di Covid-19 fanno impallidire i Recovery Funds su cui si scontrano e dividono gli interessi dei 'nostri' politici…).
Sono infiniti gli appelli che nel mondo si susseguono per immaginare un futuro nel quale il vaccino possa essere un bene comune. La necessità di una radicale conversione politica ed economica perché questa speranza possa tradursi in realtà è riconosciuta come una prospettiva molto improbabile. Dovrebbe infatti ripartire da quel riconoscimento della salute come uno dei nomi dei diritti umani su cui si è conclusa, in modo sobrio, disincantato la prospettiva di cui si è proposto sopra l'ascolto.
La seconda prospettiva da ascoltare (che ha come autori un'autorità mitica nel campo della immunologia e della salute pubblica, ma insieme una scuola di giornalismo e di diritto all'informazione, ed uno dei centri pubblici sullo sviluppo dei vaccini degli Stati Uniti) dice che alla domanda che tutti si pongono, non c'è una risposta fatta di date: sia le domande che le risposte chiedono persone che siano coscienti del contesto nel quale si vive, degli attori che sono in gioco, della cultura pro-contro i vaccini, della sempre più difficile capacità della ricerca di avere un orientamento indipendente alla salute pubblica, del dato di fatto che ogni progresso tecnologico affaccia a nuove disuguaglianze nella accessibilità per i gruppi svantaggiati. Il racconto, molto scientifico, ma molto narrativo, proposto dagli autori del NEJM, può essere un buon pro memoria, di cui si propongono solo due citazioni esemplari.

“La domanda sul quando si potrà avere un vaccino sicuro ed efficace implica considerazioni tecniche ed etiche: è dal loro insieme che deriva l'accettazione o meno della logica vaccinale nella collettività. I dati oggi disponibili a livello dei test delle risposte anticorpali dicono che circa il 92% della popolazione è suscettibile ad una infezione Covid-19. Assumendo che tra il 60 ed il 70% della popolazione deve essere immune, per una protezione comunitaria (immunità di gregge) 5.6 miliardi di persone a livello mondiale dovrebbero essere immuni per mettere fine alla pandemia. La possibilità che ci vogliano anni per arrivare ad una copertura di questo tipo, (attraverso l'infezione e la vaccinazione, pone la domanda, difficile, sulle priorità da scegliere, in base a criteri di valore sociale, che dovebbero essere oggetto di una comunicazione comprensibile e riconosciuta come guida. È pensabile che chi è più a rischio - personale sanitario, residenti in RSA, carcerati e personale di sorveglianza, anziani, pazienti fragili-complessi, comunità marginali e svantaggiate- possano essere la priorità? O prevarrà la logica delle forze produttive, degli studenti, di coloro che sono potenziali diffusori asintomatici? E tutto ciò come si potrà comunicare in contesti culturali e socioeconomici infinitamente diversi? La pandemia di disinformazione attuale sui tanti media non è una prospettiva rassicurante: e un investimento di risorse in questo campo non sembra oggi essere una priorità”.2 

La seconda citazione, che conclude questa prospettiva è molto saggia: con il grande problema che presuppone che la conversione, culturale e scientifica, invocata nella prima prospettiva possa essere una priorità di fondo che accompagna, o meglio precede.

“Avremo un vaccino Covid-19 sicuro ed efficace quando la ricerca, i processi di coinvolgimento comunitario, i progetti mirati di informazione ed educazione già intrapresi durante i clinical trial avranno prodotto una atmósfera di trasparenza e di comprensione nella opinione pubblica, sia nei gruppi prioritari che negli altri. Tutto questo programma deve iniziare ora”.2


BIBLIOGRAFIA

1. Evans MK. Health equity- Are we finally on the edge of a new frontier? N Engl J Med 2020;383:997-9.
2. Bloom BR, Novak GJ, Orenstein W. “When will we have a vaccine?” - Understanding questions and answers about Covid-19 vaccinations. New Engl J Med 2020.