La cura: nonostante tutto…


A cura della Redazione


Il compleanno n. 200 della fondatrice della professione infermieristica, Florence Nightingale, non poteva essere più sorprendente, e provocatorio. Una emergenza globale, di cui è ancora ignota totalmente la fine, o almeno una soluzione, ha occupato tutto il tempo e lo spazio - delle competenze, della emotività, della logica di lavoro, della dedizione fino alla stanchezza insostenibile - del mondo del nursing, coinvolto e travolto nel gestire, come parte di esperienze spesso inedite di lavoro in team, un vero e proprio capitolo storico della medicina e della società. Le domande sul dove si è e sul dove si va sono tutte aperte: con l'impressione ed il timore (…si vorrebbe tanto aggiungere, la fiducia, ma i 'sintomi' di un suo arrivo sono molto incerti) che la distanza, l'unico rimedio efficace contro il contagio, si sia trasformata in una distanza molto conosciuta e non protettiva: quella tra le promesse di un mondo altro (con investimenti, staff al completo, ruoli sociali…), ed un quotidiano che continua ad essere occupato in bollettini che cercano, contro ogni evidenza, di dare ai numeri, alle loro % e curve quantitative e longitudinali, una coerenza e comprensibilità che favorisca una obbediente pazienza fino all'adempimento del mito salvifico dei tanti vaccini.

La ripetitività di promesse sempre uguali (con numeri a caso ed improbabili) sul nuovo mondo infermieristico, e dell'assenza di una progettualità trasparente, condivisa (con un minimo di autonomia progettuale rispetto ai sempre più precari equilibri politici) sui modi ed i tempi dei cambiamenti, è senz'altro un sintomo non incoraggiante. Il consenso sulla storicità del passaggio che sarebbe in corso, o dietro l'angolo, rischia di sostituire quello sulla necessità di una distanza intesa come quel tempo di pensiero e di ricerca che sono imprescindibili per almeno trovare bandoli verificabili per comprendere, in vista di sciogliere e non solo confermare, le complessità della matassa.

'Nonostante tutto', dice il titolo, è possibile immaginare di prendere sul serio, almeno un poco, da parte del mondo infermieristico anzitutto, ed obbligatoriamente, se vuole diventare un interlocutore (propositivo, ma altrettanto indipendente e provocatorio, come Florence Nightingale) dei decisori centrali e/o regionali?

Una riflessione editoriale (anche se accompagna contributi che vanno nella stessa direzione) (pp. 205-221) non è evidentemente il luogo né lo strumento per fare progettazioni. Si può al massimo definire e ricordare di che cosa, in termini di contenuti e di destinatari, il non-come-prima deve essere garante.

Una delle riscoperte della pandemia è una delle parole chiave del nursing: la cura: antichissima, ma, come le lucciole, condannata a scomparire dall’inquinamento combinato dei tagli del personale e delle ottimizzazioni gestionali. La letteratura, medica, filosofica, femminista, economica, sociologica, psicologica ha fatto del ‘prendersi cura’ uno dei temi più discussi, ben al di là e spesso sostanzialmente ignorando gli scenari infermieristici. Le sue definizioni mai definibili hanno trovato una visibilità rinnovata ed universalmente riconosciuta come patrimonio imprescindibile e specifico nella presenza infermieristica nei luoghi-tempi della sofferenza-morte per Covid. Ci saranno modi di dare a questa riscoperta nell’emergenza una declinazione altrettanto convincente ed originale nella ‘normalità’ trasversale delle condizioni cliniche dove la cura della vita delle persone chiede una rottura innovativa di mansioni che possa coincidere con una memoria non commemorativa, ma di futuro, della rottura di paradigmi di Florence Nightingale?

Cura, oggi, pensando al dopo Covid 19 è farsi carico, dare priorità, inventare -garantire diritto di attenzione, tempo, competenza per le persone che ne hanno o ne debbono avere diritto: dentro e fuori dei mansionari; in ospedale e nel territorio; in pronto soccorso nelle RSA nelle cure palliative…

Le tante invenzioni di sguardi, di abbracci, di linguaggi, di gesti hanno fatto della letteratura infermieristica (e medica, sul territorio ma non solo) un respiro importante, come e a volte più di tutti gli interventi e le tecnologie. Le parole-chiave della metanalisi culturale (p. 205) ne sono un pro memoria ed una delle possibili traduzioni.

Niente di nuovo o strano. La rottura necessaria - rispetto all'uso facile, da politica o da salotto; o puramente dottrinale, da filosofia od economia - per una cura applicata alla sanità è duplice:

a) Una declinazione molto flessibile, mirata ad una personalizzazione che è esattamente in contrario di quella attesa-promossa dalla genomica, dalla digitalizzazione dei dati, dalla robotica, dall'intelligenza artificiale; 

b) Un riconoscimento come componente essenziale e rimborsabile di alcuni percorsi assistenziali: non una qualità etica lasciata alla buona volontà personale, o alla occasionalità dell'emergenza. Cura perciò come capitolo chiave dei contratti; della libera professione nel pubblico e nel privato …


Sono tanti i temi che fanno della cura uno dei capitoli più bisognosi e stimolanti di ricerca sul campo, con strategie ben articolate di vere e proprie sperimentazioni, con protocolli e criteri di valutazione fortemente innovativi: con una partecipazione di persone (pazienti o meno) - popolazioni, molto diverse, coinvolte (non ‘reclutate’) nella ricerca condivisa di risposte a bisogni-desideri-emozioni- diritti di cura. In un dialogo vero, personalizzato, che non passa per ‘moduli’ di consenso informato. Ed i risultati non hanno nella numerosità, ma nella rilevanza di ciò che si può riconoscere e narrare, la loro significatività. In dialogo con tutte le competenze specifiche dei diversi contesti assistenziali che, come quelli dei feriti della guerra di Crimea, sono, medicalmente, incurabili.

La cura, nonostante tutto. Le battaglie che si devono combattere - concettualmente, in termini di formazione, contrattualmente - per fare della cura attribuibile un diritto, una normalità, una realtà riconosciuta sono tante. Per molte il mondo infermieristico può e dovrebbe essere il protagonista. È possibile? In fondo la domanda è semplice: suona provocatoria perché nella cultura corrente nella vita sociale, nella gestione assistenziale, nella pianificazione economica una definizione della “cura come diritto prioritario, inviolabile, universale di coloro che sono portatori di bisogni inevasi di dignità di vita” corrisponde ad una rottura …

Auguri per avere, oggi, il coraggio dei tempi delle origini. La pandemia (una emergenza anch'essa che sembra emergere da un tempo che si riteneva passato) ha posto la domanda: potrà mai la normalità con cui segni, gesti, creatività di cura sono emersi ed hanno resa visibile la radicalità della cura nell'emergenza diventare parte originale nel quotidiano di aziende che ritrovano la loro memoria di servizio?

Per chi, arrivat* fin qui, avesse dubbi sull'importanza della giustapposizione del nonostante tutto alla cura come ricerca permanente, lunga, mai stanca, di una definizione che la renda visibile e possibile nella pratica, il testo di Liliana Segre, ritrovabile ovunque su internet, “Ho scelto la vita” può essere compagn* di strada.