Per una visibilità concreta dei soggetti della salute come diritto umano/bene comune


Gianni Tognoni

Fondazione IRCSS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano


Per corrispondenza: Gianni Tognoni: giantogn@gmail.com


Summary. For a visibility of the subjects of health as a human right/common good. In order to make the many populations of the national health service visible and to produce data that can be used as a guide for health planning, the fragmentation currently present in the databases, prevents the cross-communication and should be overcomed. Social, economical and health indicators should help to shape subgroups of populations and their needs, to render visible the problems (met and unmet) at community level. The critical step is the move from an epidemiology limited to the description of population problems to one that allows to highlight problems' avoidability.


Key words: Databases, avoidable problems, epidemiology, populations.


premessa


Sono ormai quasi invasivi i tanti progetti di cambiamento/rinnovo/trasformazione di quella realtà istituzionale, culturale, economica, politica, di immaginario riassunta nell'acronimo SSN. La domanda più di fondo con cui si propone di confrontarsi è però un'altra, anche se può suonare strana: “qual è, oggi, la aspettativa di vita dei diritti fondamentali, di cui la salute è espressione (bene comune, anche nelle parole di M. Draghi): non come loro enunciazione formale (costituzione o convenzioni internazionali), ma nella pratica e nel quotidiano?”

I dati più recenti disponibili per l'Inghilterra, prima della pandemia, avevano misurato l'impatto della diseguaglianza crescente negli ultimi 10 anni con una diminuzione della aspettativa di vita di circa 2 anni (con le più che attese diversità tra le classi socioeconomiche). Perdite paragonabili di anni di vita sono state calcolate per tutti i paesi, con dati più o meno affidabili, lungo neppure un anno di pandemia

È evidentemente impossibile applicare rigidamente una misura come l'aspettativa di vita alla durata della effettività dei diritti: i tanti decenni del post-guerra hanno certamente trasformato in meglio (per quanto in modo tragicamente diseguale nei diversi paesi) le attese di vita a livello globale.

L'impatto della storia sulla sopravvivenza e la attribuibilità dei diritti è reale, passa tuttavia per altre strade, non meno efficaci: cambiando il significato delle parole; globale è l'opposto di universale, per il suo oggetto e per i soggetti interessati. I diritti globali dei beni di mercato costituiscono un universo parallelo ed indipendente, in termini di obbligatorietà, rispetto ai diritti universali delle persone e dei popoli. Si invertono le gerarchie: la economia-finanza globale prevale, e cancella la universalità dei diritti: la diseguaglianza prodotta dagli algoritmi della economia è programmata, riconosciuta, magari criticabile, ma dichiarata intoccabile se coincide con indicatori strettamente economici di sviluppo.

La premessa può sembrare lunga, ma permette di avere una prima risposta al quesito iniziale: la priorità è quella di ridare una visibilità-attribuibilità universale all'antico diritto dell'habeas corpus. Le vite concrete (e non solo le malattie) di tutti i soggetti del diritto umano alla dignità della vita, devono essere il punto di partenza per definire investimenti e risorse, e l'unico indicatore del se, del quanto, del come ai bisogni (che spesso indicano le violazioni di diritto) sono state sono date, o si cercano, attivamente, risposte.

Quanto segue è una prima traccia di una epidemiologia della visibilità e della presa di parola che abbia come soggetto, destinatario, interprete il mosaico dei gruppi di persone che costituiscono la popolazione di un SSN che deve offrire risposte a tutti gli individui (cittadini, migranti, rifugiati, marginali) cui fa riferimento l'art.3 della Costituzione che sancisce il principio di eguaglianza formale in base al quale tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge: tenendo presente che le affermazioni della Costituzione sono da leggere come un progetto di ricerca, sempre in corso, per tenere conto dei cambiamenti spesso radicali dei contesti di vita. L'epidemiologia delle risposte non date, delle persone con bisogni non soddisfatti, del mancato accesso alle cure è l'unico strumento portante di un servizio. Ed è quella che meglio corrisponde anche ad un uso intensivo, legittimo e dovuto, di big-data ed algoritmi (non solo né principalmente sanitari) che con tanta insistenza vengono proposti come caratteristica tecnologica per il presente-futuro della sanità.




per una epidemiologia della responsabilità 


La letteratura scientifica più qualificata ha messo sempre meglio in evidenza quelli che vengono chiamati (nella terminologia ufficiale anche dell'OMS e delle altre agenzie delle Nazioni Unite) i determinanti socioeconomici, ambientali, assistenziali, culturali (generali ed ancor più specifici per i singoli contesti) delle malattie più frequenti e gravose. Sono quelli che hanno un peso, come cause e come fattori prognostici delle malattie e delle condizioni di perdita di autonomia nella vita quotidiana, decisamente più importante anche degli indicatori più aggiornati della medicina molecolare e genetica. Pur nella loro parzialità, le Tabelle 1-3, che si propongono come esempio riassuntivo di determinanti socioeconomici della accessibilità ai diritti fondamentali nella realtà italiana, costituiscono un punto di partenza imprescindibile per qualsiasi intervento nelle aree che sono giustamente considerate importanti: prevenzione, fragilità, riabilitazione, assistenza domiciliare, continuità assistenziale.

Il passaggio critico da compiere è quello da una epidemiologia che descrive, ad una epidemiologia della evitabilità; dall'attenzione alle malattie, all'adozione dei problemi e delle popolazioni: cause e conseguenze delle malattie curabili, accompagnamento, assistenziale e di ricerca, di condizioni di vita per le quali l'intervento strettamente o prevalentemente sanitario non è disponibile.

Una utilizzazione-elaborazione delle informazioni (già disponibili nei vari database: non esclusivamente sanitari!) deve prevedere un cambiamento importante nella visibilità dei bisogni, sia nella programmazione degli interventi, che nella valutazione del loro impatto sulla evoluzione delle vite delle persone che risulteranno più a rischio. Questo incrocio sistematico tra dati di contesto di vita e sanitari è già disponibile: per lo più però come oggetto di studi, spesso occasionali, poco rappresentativi, e perciò difficilmente trasferibili in contesti diversi. La evoluzione da una epidemiologia della descrizione dei problemi ad una epidemiologia della evitabilità-adozione delle popolazioni concrete implica tre innovazioni importanti:








1. Rendere normale e permanente la disponibilità di dati provenienti da attori, istituzionali e presenti sul territorio, che sono attualmente (e per lo più rigidamente) separati ed indipendenti per responsabilità e competenze (ad esempio i dati dei ricoveri e quelli sociali come il vivere soli, indicatori di condizioni economiche etc). La vita-salute delle persone, e delle sottopopolazioni di cui è fatta la realtà, è un incrocio molto fluido di determinanti molto diversi: la pubblica amministrazione del diritto alla salute-sanità include tante istituzioni e responsabilità e deve sperimentare ed adottare come regola la complementarietà nella gestione delle informazioni rilevanti, ed il dialogo - anche perché solo così il rapporto con la società diventa un esercizio di democrazia. La attuale separazione tra le competenze delle amministrazioni comunali e quelle delle ASL nel definire priorità di investimenti e di interventi costituisce un ostacolo strutturale intollerabile in una logica-cultura che dovrebbe vedere nella presa in carico dei bisogni reali (la cura) la interpretazione responsabile e congiunta degli art. 3 e 32 della Costituzione (La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti). 


2. L'adozione di questa logica inclusiva è la prima ed imprescindibile tappa per cercare-dare una interpretazione operativa ad una delle parole chiave più gettonata, e meno definita, dell'attuale dibattito: il territorio. Questo termine indica un'entità che non esiste se non si declina nella infinita diversità dei territori: grandi e piccoli, urbani, rurali, marginali, dispersi, del Nord privatizzato e del Sud, diseguali per servizi e storie, per contesti di rischio, per contesti abitativi, per composizione di età … Una epidemiologia utile non può essere solo centralizzata, calata ogni tanto dall'alto, con numeri assoluti o % non riferibili a denominatori comparabili, o dipendente da macro- indicatori economici che constatano le diversità, e distinguono (con i criteri di cui è nota la inaffidabilità) i cattivi dai buoni governatori o presidenti di regioni o ASL, o da modelli organizzativi: la pandemia, con le sue morti “medie” sul territorio nazionale (non stratificate per fasce di età, provenienza, luogo di morte- ospedale, domicilio…) è stata in questo senso un esempio perfetto di un ruolo confondente, di una epidemiologia che non ha tenuto conto della diversità dei contesti. Solo una epidemiologia che rende visibili le popolazioni reali può divenire strumento che da una parte guida la presa in carico istituzionale, e dall'altra favorisce la partecipazione della società civile, nelle forme e con gli attori che possono essere/divenire parte dell'intervento territoriale.


3. Per problemi-popolazioni che si trovano al confine tra sanità e società e per cui le evidenze sono più precarie (dalla psichiatria, alla disabilità, alla fragilità sociale, alle marginalità, …) si deve praticare una epidemiologia comunitaria, multi-territoriale che faccia coincidere la descrizione delle variabilità dei problemi e delle risorse con la valutazione-sperimentazione comparativa e programmata di interventi e risultati. Le proposte di nuovi servizi, di cambiamenti, vanno sperimentate per capire se funzionano in contesti regionali e locali diversi, prima di renderle operative.



per un servizio sanitario nazionale

responsabile, e sperimentatore, di diritti


Sono ormai molte le piattaforme e le proposte operative che si sono sviluppate negli ultimi mesi per identificare aree prioritarie di investimento per un SSN che riprenda, attualizzandola, la logica e gli impegni originali della L. 833. C'è un consenso, ovviamente condiviso, sul fatto che il passaggio fondamentale sia quello da una disciplina-organizzazione (la medicina-sanità) competente in malattie, ad un capitolo della politica che faccia della salute uno degli indicatori della volontà-capacità di democrazia di un paese che ha negli ultimi 15-20 anni sviluppato soprattutto scenari di diseguaglianza e di esclusione.

La proposta sviluppata sinteticamente in questa nota riflette un'esigenza sentita e possibile per rimediare l'assenza ben riconosciuta (non solo in Italia) di una epidemiologia mirata alle popolazioni concrete dei tanti territori che continua ad essere, una delle pagine nere della gestione della pandemia.

Una epidemiologia della visibilità delle popolazioni-persone reali è in un certo senso ovvia, quasi banale da un punto di vista tecnico. Di fatto costituisce un passaggio di fondo, soprattutto culturale.

Il profilo epidemiologico di una popolazione-territorio molto concreto proposto nella Figura 1 che conclude e riassume questa riflessione, documenta che è possibile rendere visibili e contestualizzare i bisogni-diritti delle popolazioni. Nella piramide viene presentato un tentativo di stratificazione della fragilità utilizzando tutte le esenzioni per patologia cronica, comprese le malattie rare e la condizione di invalidità. I pazienti vengono suddivisi in classi omogenee per complessità e gravità, con livelli di fragilità crescente, ipotizzando che corrisponda ad un aumento dell'uso di risorse, ma anche ad essere presa in carico con interventi proattivi e di risposta mirata ai bisogni.




Con la pretesa (speranza?) che una decisione nelle direzioni indicate possa tradursi anche in un non-banale orientamento della cultura-tecnologia della digitalizzazione verso una logica di inclusione e di partecipazione. Dovrebbe essere ormai assodato che decisioni che non sanno farsi carico soprattutto delle popolazioni più a rischio di esclusione, per non importa quale ragione, coincidono con violazioni del diritto umano (universale è la sua qualificazione obbligata) alla salute.