È possibile, ha senso, è obbligatorio, pensare ‘al futuro’ in tempi molto confusi?

Gianni Tognoni

Segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli, Fondazione Lelio e Lisli Basso

Per corrispondenza: Gianni Tognoni, giantogn@gmail.com

perché un titolo fatto di incertezze e domande

La prima cosa da fare per giustificare almeno un poco un titolo tanto complicato è esplicitarne l’ipotesi di fondo, collegandola in modo specifico al mondo dell’assistenza-cura. Non dovrebbero esserci dubbi sulla ‘confusione’ che caratterizza, e si è accentuata nell’anno che si chiude, lo scenario in cui viviamo. Dalle guerre che hanno raggiunto i livelli di indicibilità evocati, per sottolinearne il significato più complessivo, nella rubrica di metodologia (pag. 187); alla sostanziale conclusione della storia-immagine di democrazia in un paese come gli USA; alla perenne, generalizzata, tragica considerazione della migrazione come terrorismo da combattere; alla incredibile negazione, con i rituali delle COP (Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) presiedute dai paesi più inquinanti, delle crisi ambientali; al letterale delirio legislativo italiano, ma non solo, che fa della sicurezza un problema penale, e della scuola, ricerca, cultura settori-capitoli affidati alla marginalità economica, alla non-partecipazione.

Per definizione, la sanità ha, rispetto alla società (e sempre più nel mondo globale), un ruolo di indicatore di come la vita degli umani evolve in senso positivo o negativo: in termini di espressione di una civiltà di inclusione-fruizione di diritti-dignità, o di espulsione-scarto. I dati a sostegno di questa affermazione non hanno bisogno di essere dettagliati in questa sede: i rapporti dell’ONU, dell’OMS, dei tanti gruppi epidemiologici internazionali concordano nel dire che non solo gli SDG (Sustainable Development Goals) previsti per il 2030, con indicatori sanitari, sociali, economici, non saranno raggiunti, ma si prospettano in peggioramento.1 La polarizzazione delle ricchezze e dei poteri decisionali in mani private sempre più ristrette ha come conseguenza prevista-programmata (non come ‘effetto indesiderato’) l’interpretazione del diritto universale e inviolabile alla salute (nel significato inclusivo della definizione originale dell’OMS) in termini di un principio, da citare per le pubbliche relazioni politiche, ma tenuto nettamente separato dalla possibilità-obbligatorietà di una sua accessibilità concreta a misura dei bisogni.2,3 Questa interpretazione globale si esprime perfettamente anche in Italia: ed è ben documentata. L’art. 32 che definisce il diritto sanitario attribuibile e rigorosamente ormai s-collegato al ben più fondamentale art. 3, che definisce l’obbligo di abbattere le barriere che impediscono la fruibilità, nessuna/o escluso, dei diritti.

La reazione alla confusione – ben presente nei talk-show e nelle campagne elettorali sempre meno rappresentative e indicatori credibili di democrazia – coincide con un diffuso-atteso atteggiamento di rassegnazione-autodifesa dei propri interessi. Il ‘futuro’, fin dal titolo, è tra virgolette: salvo per quei poteri, sempre più privati anche se con strutturali intrecci e valenze pubbliche, che danno per acquisito che la storia ha preso, in modo irreversibile e indiscutibile, un’altra strada.

immaginando di fare delle domande un progetto

La parola chiave che per prima si confronta con il ‘futuro’ (… procedendo a ritroso, verso l’origine delle domande) è quella più difficile: pensare; equivale a mettersi, lucidamente, nella posizione e nel ruolo di chi non ha risposte immediatamente praticabili per le situazioni in cui si opera. Il quotidiano sembra anzi rimandare ogni volta all’una o all’altra espressione di quella confusione che paralizza, o irrita; conferma che non ci sono spazi di cambiamento: scoraggia dal prendere distanze sufficienti per avere un tempo-orizzonte nei quali pensare, programmare, organizzare strategie concrete di ricerca di risposte, cammini, incroci, alleanze.

La parola chiave che segue a questo pensare, certamente difficile, è quella che lo precede nel titolo: non c’è nessuno che obbliga: semplicemente non c’è scelta. Riforme e aggiustamenti puntuali che mantengono radici culturali e strutturali del passato rendono non immaginabile, né perseguibile, un futuro coerente con esigenze profondamente diverse. La risposta obbligata è una discontinuità (disobbedienza), per rendere obbligatoria una sperimentazione che abbia anche la lucidità di dare altri nomi, scadenze, priorità alla progettualità, concettuale e operativa.

Le ultime due parole-chiave che completano la domanda, ha senso e possibile, devono essere collegate, meglio se coincidono. L’alternativa sarebbe la rassegnazione a limitarsi a essere spettatrici/spettatori: ruolo ovviamente legittimo e largamente praticato, ma – per definizione – in linea di collisione con l’ipotesi che essere operatrici/operatori in sanità coincide con una identità, professionale e di cittadinanza (o coscienza). L’unica misura di appropriatezza può essere solo la ricerca di rendere sempre più praticabile, soprattutto per chi ne è privo, la dignità-autonomia del vivere. Questa ricerca non è solo, né prioritariamente, clinico-assistenziale: la cura – come espressione di un paradigma imprescindibile che si fa carico della vita, e di quanto rende possibile un non-ammalarsi e un ri-abilitarsi, nella dignità, e senza discriminazioni – dovrebbe essere oggi acquisita come quadro di riferimento: con la lucidità di riconoscere che è proprio la cura,4 parola-chiave specifica della sanità, che rischia di essere un ‘principio’, così come il diritto, da usare come parola di facciata, privata dei suoi contenuti: a tutti i livelli/comparti della politica, dell’amministrazione, della gestione organizzativa, della rappresentazione mediatica dei veri e dei falsi buchi neri, da cui questa riflessione-domanda sul futuro ha preso l’avvio.

per una cura che sia ricerca collettiva di un ‘avvenire’

Due piccole premesse per questo paragrafo conclusivo:

1. le parole chiave appena commentate corrispondono all’impianto culturale e metodologico indispensabile per un futuro da pensare come un progetto molto concreto, da costruire sperimentando;

2. le virgolette poste al termine ‘avvenire’ rimandano a un articolo di Maurizio Maggiani,5 in un contesto di analisi-racconto del presente molto più che disincantato: “il futuro non è niente: forse una fantasia, di certo un’illazione, ma l’avvenire è ciò che è a venire, che accadrà per intenzione, che già oggi è materia per domani, pensiero e azione…”.

La formulazione del titolo del progetto è semplice: si tratta di immaginare un cammino, molto articolato, che abbia come criterio di riferimento operativo, e obiettivo – da ridefinire via via, ma molto preciso – quello di ricondurre la dignità della vita, di tutte/i, a essere la misura di appropriatezza e di outcome, imprescindibile e visibile, della sanità.

Fare della cura un avvenire coincide con una sfida all’attuale non-cultura degli aggiustamenti di voci di bilancio, di contratti, di rapporti tra privato e pubblico, della non-trasparenza di dati e di attori. La sanità può diventare garanzia di salute solo se è indicatore di un processo attivo di democratizzazione della società. Un editoriale di fine d’anno può essere solo un pro-memoria che mira soprattutto a verificare la condivisibilità o meno di questo approccio al problema. I punti che seguono indicano tappe concrete che possono rappresentare – per il mondo infermieristico – aree di intervento-ricerca-interazione con altri attori: nella loro sinteticità vorrebbero solo essere indicatori della varietà e complementarità di capitoli aperti, più o meno controversi, in fase di sperimentazione, o di evidente regressione.

• La prima sfida è quella di introdurre esplicitamente, nella formazione di base e post base, la coscienza di essere non solo professioniste/i, ma più a fondo competenti di una cura che è tanto più tecnicamente appropriata quanto più è creatrice, nel quotidiano, di rapporti non autoritari, che condividono e gestiscono soprattutto, con trasparenza, le incertezze e i conflitti. La salute-sanità come esercizio di una democrazia che si misura sulla riduzione delle diseguaglianze.6

• La professione infermieristica deve produrre conoscenze epidemiologiche che non si limitano a descrivere-quantificare le procedure e le pratiche, ma danno visibilità tempestiva dei bisogni inevasi, di conoscenza e di assistenza, per farne lo strumento principale di un monitoraggio di appropriatezza che sia produttore di conoscenza, di autonomia, di aggiornamento, di dialogo-confronto alla pari con le altre competenze-professioni, e parte integrante della pianificazione nei settori in cui si lavora. La professione infermieristica come laboratorio di sperimentazione-promozione di un sistema-servizio non basato su gerarchie-dipendenze, ma su autonomie in dialogo.

• Investire formazione e sperimentazione in aree e strutture assistenziali dove l’assicurare una cura non strettamente medica deve essere una ricerca molto flessibile e rigorosa: dalla psichiatria, alla fragilità, alle popolazioni a bassa autonomia. Le metodologie di ricerca, in questi settori che sono più alla frontiera tra esigenze sanitarie e diritti di dignità, hanno bisogno di forti innovazioni dove il mondo infermieristico può avere un ruolo originale e protagonista.

• Prossimità, territorio, continuità sono parole che devono essere declinate e tradotte in pratiche con programmi fortemente differenziati secondo i contesti infinitamente differenti in cui devono realizzarsi. Un investimento della professione in questo campo è quanto mai necessario per rendere evidenti concettualmente, e quindi visibili con strategie innovative, ruoli e competenze dove il mondo infermieristico fa da ponte con il mondo non sanitario, di altre discipline e dei contesti sociali in cui si opera.

È chiaro che i punti citati sono solo esemplificativi di un ‘avvenire’ nel quale si immagina che cambiamenti più di fondo, a livello contrattuale e di struttura del sistema sanitario attuale, sono imprescindibili. È necessario tuttavia che il mondo infermieristico, professionalmente e politicamente, riconosca, in un tempo di crisi che non sarà breve, che la probabilità di cambiamenti in positivo sarà proporzionale alla coscienza di dovere e poter essere in questo scenario, sempre più propositiva e autonoma.

bibliografia

1. Engebretsen E, Greenhalgh T. Why are the sustainable development goals failing? Overcoming the paradox of unimplentability. Lancet Glob Health 2024;12:e1084-5.

2. Todd E. La sconfitta dell’Occidente. Roma: Fazi Editore, 2024.

3. De Monticelli R. Umanità violata. La Palestina e l’inferno della ragione. Roma: Tempi Nuovi, 2024.

4. Melchiori P, Antoniazzi S. Cura e democrazia. Il valore politico della cura. Roma: Castelvecchi Editore, 2023.

5. Maggiani M. Serve una rivolta culturale per curare la malattia della guerra. La Stampa, 18 novembre 2024.

6. Di Giulio P, Palese A, Saiani L, Tognoni G. Appunti di contenuto-metodo per immaginare un percorso formativo a misura del futuro. Assist Inferm Ric 2020;39:31-4.