Memorie obbligate: per il 2025, e molto oltre…

Gianni Tognoni

Segretario del Tribunale Permanente dei Popoli, Fondazione Lelio e Lisli Basso, Roma

Per corrispondenza: Gianni Tognoni, giantogn@gmail.com

Summary. Mandatory memories for 2025, and far beyond. The only widely shared consensus which characterises the times we live in is the perception of a devastating earthquake shaking the political, cultural and institutional scenarios of the global international relations. Besides the now well known, because so often repeated epidemic diffusion of wars (more than 50 in an active state) the aggressiveness of exploitation of nature, and the failure of peace-oriented strategies, have become part of the daily experience of uncertainty: the report of a life in dignity, which was at least a legitimate and universal goal, appears not only as a difficult horizon, but a forbidden framework of research and commitment. Those who are directly and indirectly, professionally and not only citizens of a society, in the frontline of the right of life, are specifically challenged to be not only spectators, but active actors. A Perspective is not the place for a detailed review of what is happening, but a tentative proposal of methods for resisting to the desolation through a disentranced regard to the future. The images of two of the most tragic, symbolic people who are talking with their suffering and resilient lives are proposed as key words for not only understanding but also accompanying our long-term committed research of a future of shared dignity.

Key words. Uncertainty, wars, human rights, dignity, future.

Giorni di febbraio. La cronaca politica, economica, culturale sembra fatta per obbligare ogni giorno a domandarsi in che mondo si sta vivendo: nella recita, con linguaggi che non si preoccupano nemmeno più di rispettare l’abc della correttezza formale, si parla sostanzialmente di guerre: quelle ‘serie’, da fermare o promuovere o tollerare, in Asia, Africa, Medio Oriente, ‘pragmaticamente’, prescindendo da qualsiasi regola internazionale. La preoccupazione è di mettere in secondo piano (fino a far scomparire dalle agende nazionali e internazionali) tutte le altre priorità: dall’ambiente, alla sanità, ai diritti di tutti coloro che si trovano a essere parte di un popolo che non ha un nome ufficiale e non è sulle mappe, perché trasversale, senza confini, in crescita: quello dei ‘diseguali-marginali-terroristi-prigionieri-migranti’…, colpevoli di essere, con il loro star male e morire ‘in eccesso’, un elemento di disturbo.

Questa riflessione è un esercizio di memoria: che dovrebbe essere, come raccomanda il titolo, un obbligo, soprattutto in questa sede. La ‘recita’ che si è ricordata ha come caratteristica quella di far scomparire dalla storia le persone, che compaiono al massimo come statistiche che quantificano, più o meno accuratamente, le vittime: le centinaia di migliaia di morti dichiarati prima necessari e poi politicamente inutili per l’Ucraina; quelli non contabili, tra gli innumerevoli di Sudan e Congo (… si citano oggi, per quest’ultimo paese, 3.000 donne violentate in una prigione poi incendiata per bruciarle…); gli immancabili, da tanti anni, del genocidio Rohingyas.

In questo esercizio di memoria, si riprendono due situazioni che vorrebbero rappresentare soprattutto una memoria rivolta al futuro.

gaza

Dall’ottobre 2023 questa striscia di terra è diventata l’espressione più chiara e il riassunto più tragicamente sintetico del nucleo di cui è fatta la crisi di fondo che viviamo, sotto i nomi più diversi: ‘genocidio’ è uno di questi. È simbolicamente il più grave, perché evoca la memoria di un evento che non doveva più neppure essere pensato. Di fatto non è altro che un crimine contro l’umanità, quando questo include anche l’intenzione/auspicio/programma di non accettare che un gruppo umano abbia un futuro. La gravità di ciò che Gaza ha ricordato e mostrato è che questa realtà, impensabile, può svolgersi con la ostentazione degli orrori più incredibili, che diventano oggetto di discussione, ma come parte della ‘normalità’ della cronaca e delle diplomazie. Con la più perfetta visibilità di un esperimento senza tempo e senza ipotesi credibili di soluzione. Gaza (… e la Cisgiordania si è aggiunta come estensione attesa) ha detto, per sempre, che la storia che aveva portato, a costi incredibili, alla ‘parentesi’ di una società internazionale che si dava regole per una sperimentazione di civiltà, si poteva, anzi si deve considerare conclusa. Tutti i governi che ne hanno la forza e le alleanze possono eliminare chi è considerato un rischio per i propri disegni.

Lo sprezzo – più ancora, l’aria di una ‘sufficienza’ al limite della derisione – con cui sono state non-riconosciute le decisioni delle Corti internazionali, non solo da Israele, ha confermato che i palestinesi erano/sono una vittima esemplare: un caso di scuola. Con una eccezione didattica: nello scambio tra ostaggi israeliani di Hamas e prigionieri palestinesi si poteva accettare una asimmetria numerica da vendere come segno di democrazia, mentre di fatto indicava che da tempi immemorabili le carceri israeliane erano uno dei destini di massa, in numeri insostenibili, di palestinesi, non importa se bambini, o donne, o anziani.

Il dettaglio di questo film dell’orrore è stato raccontato troppe volte anche su queste pagine ponendo in evidenza uno dei suoi aspetti più ‘significativi’ (… mai questo aggettivo così importante nella statistica rivela la dominanza del qualitativo sul quantitativo): la priorità data a fare degli indicatori dei diritti di vita l’espressione della più forte repressione e cancellazione. I rapporti dell’autorità palestinese su morti, feriti, amputati, una epidemiologia dell’indicibile,1 sono stati, ancora di più in questi giorni, confermati in una serie di articoli sul Lancet come inappropriati per difetto, e in maniera macroscopica, perché non è facile essere bersaglio e narratore oggettivo.2

Confrontarsi con la ‘neutralità’ delle tabelle e dei numeri è importante: documenta la oggettività di un orrore che fa parte della storia, come un baratro incolmabile. Chi sa che possa essere preso sul serio da parte di una letteratura-scienza medica ufficiale (ma anche infermieristica) che non si è fatta certo onore, in tutto questo tempo, per presenza, interventi, rapporti, prese di posizione.

In questo esercizio di memoria al futuro pensiamo che l’immagine che tutto riassume sia la foto, riprodotta qui sotto e circolata tanto, di quel medico che aveva resistito fino all’ultimo a fare il suo lavoro nell’ospedale distrutto, e si avvia tra le rovine a ‘consegnarsi’: scomparendo così tra i prigionieri pericolosi, in un carcere incomunicato: colpevole di credere alla difesa della vita più che alle bombe.




Il commento più coerente, nella sua tragicità tradotta in poesia, lo si trova nei versi, scritti da Refaat Alraeer per il figlio piccolo,3 che affidava a un aquilone il suo messaggio se lo avessero ucciso: e sono stati uccisi, lui e il bimbo.

Se io dovessi morire

Se dovessi morire,

tu devi vivere

per raccontare

la mia storia

per vendere le mie cose

per comprare un po’ di carta

e qualche filo,

per farne un aquilone

(fallo bianco con una lunga coda)

cosicché un bambino,

da qualche parte a Gaza,

guardando il cielo

negli occhi

in attesa di suo padre che

se ne andò in una fiamma

senza dare l’addio a nessuno

nemmeno alla sua stessa carne

nemmeno a sé stesso

veda l’aquilone, il mio

aquilone che tu hai fatto,

volare là sopra

e pensi per un momento

che un angelo sia lì

a riportare amore.

Se dovessi morire,

fa che porti speranza

fa che sia un racconto!

Refaat Alareer

Poeta palestinese ucciso insieme alla sua famiglia e figli a Gaza in un bombardamento aereo nella sua casa (questa è l’ultima poesia da lui scritta prima di morire…).

Una ‘memoria al futuro’ in tempi di crisi è credere che la storia che conta è quella che fa di tutto perché la logica della esclusione-guerra, con o senza genocidi tecnicamente definiti, non prevalga, nella cultura anzitutto, e se possibile nella pratica, su quella della inclusione-pace. Molto semplice. Molto difficile. Improbabile. Gaza, la sua storia e la sua gente che, appena tornata per una tregua assolutamente precaria, stende fili per asciugare panni tra rovine che non si sa dove gettare, possono avere un futuro, e un senso per i tanti palestinesi del mondo, se si resiste, insieme, dal luogo dove si è, dalla parte di chi continua a pensare che il futuro vale la pena solo se coincide con una casa che accoglie.

rojava

Non siamo molto lontani. Il nome amministrativo del luogo-popolo indicato nel sottotitolo è AANES (Autonomous Administration of Northern and Eastern Syria), parte di quella Siria che da pochissimi mesi è passata da una guerra civile interminabile a una dittatura tra le più lunghe e tremende della storia recente: al confine con la Turchia, che non ha bisogno di presentazione e non teme paragoni in termini di violazioni strutturali dei diritti fondamentali.

Come è chiaro dal lungo e strano nome, il luogo-popolo non è una realtà-entità come gli Stati che stanno intorno: è un esperimento, iniziato non tanto tempo fa, negli anni in cui tutto il mondo era spettatore attonito degli orrori dello Stato Islamico, che sembrava inarrestabile. La ‘rivoluzione di Rojava’ rappresentò allora la espressione di una resistenza di tante minoranze locali, minacciate-colpite da una aggressione genocida, nella quale le donne erano assolutamente centrali, anche e in modo assolutamente originale dal punto di vista militare. Grazie pure all’appoggio soprattutto aereo degli USA, le donne di Rojava (dal nome della prima area liberata) sconfissero lo Stato Islamico, e trasformarono la loro esperienza di resistenza in una società radicalmente democratica: a partire da quella uguaglianza assoluta di dignità e potere tra i generi, a tutti i livelli del governo, della scuola, della sanità, ancor più originale in quel contesto geografico, culturale, religioso.

La creatività e i risultati della sperimentazione di Rojava sono riconosciuti ormai universalmente, e facilmente accessibili.5,6

La proposta di Rojava nel contesto di una ‘memoria al futuro’ accanto a Gaza è per ricordare e accompagnare in tempo reale la situazione attuale che vede l’esperimento a grande rischio. Il testo che segue, preso dai lavori del Tribunale Permanente dei Popoli,7 è un invito ad adottare ‘ROJAVA’ come parola chiave da monitorare nel prossimo futuro. La risposta che sarà data a questa sperimentazione, così avanzata e così a rischio, è, in stretta connessione con le Gaza, Rojava, del mondo, di importanza fondamentale per comprendere-sperare-condividere la praticabilità di una civiltà della cura come futuro da proteggere-costruire.

dichiarazione della giuria del tpp in riferimento alla 54a sessione su rojava vs turchia

Quella che segue è la dichiarazione preliminare del collegio di giudici del Tribunale Permanente dei Popoli, 54a sessione, riunitosi a Bruxelles il 5-6 febbraio 2025 per decidere sulla responsabilità di alti funzionari turchi per presunti crimini di aggressione, crimini di guerra e crimini contro l’umanità in Rojava, nel nord-est della Siria, dal 2018 a oggi. Il Tribunale si è riunito su richiesta di nove organizzazioni. Gli imputati sono stati convocati ma non hanno risposto né si sono presentati.

Vogliamo prima di tutto rendere omaggio al coraggio del popolo del Rojava ed esprimere la nostra gratitudine in particolare a coloro che hanno condiviso con noi le loro esperienze. Ringraziamo il team di pubblici ministeri, i testimoni e le organizzazioni partecipanti per la diligenza e l’impegno con cui hanno raccolto e presentato una straordinaria ricchezza di prove per questo Tribunale.

1. Testimonianze

Le testimonianze ascoltate hanno configurato uno scenario coerente e convincente di una repressione diffusa, pervasiva e sistematica di un popolo. I crimini? Essere Curdi e aver creato una società basata sui principi di uguaglianza, giustizia e solidarietà. L’obiettivo è la violenza della repressione e lo sradicamento dell’identità, della presenza e della cultura curda.

La popolazione di Afrin è stata costretta a lasciare le proprie case quando la città è stata occupata dalla Turchia nel 2018. La componente curda della popolazione è passata da oltre il 90% al 25%, poiché le loro case sono state confiscate e offerte ad arabi sunniti e turcomanni (spesso sfollati a loro volta a seguito delle politiche del governo siriano). Le proprietà sono state sistematicamente saccheggiate, le vetrine dei negozi e le insegne stradali sono state sostituite con nomi turchi, il sistema bancario e le poste sono diventate turche e il turco ha sostituito il curdo come lingua nel sistema scolastico. Terreni e proprietà sono stati confiscati, le fabbriche sono state smantellate, l’industria olivicola è stata espropriata e le olive riconfezionate sono vendute come turche. Le testimonianze disponibili documentano che la popolazione di Afrin ha subito spostamenti multipli: verso Al-Shahba, stipati in tende, in campi senza accesso all’assistenza sanitaria o ai beni di prima necessità e in condizioni di crescente violenza; verso Al Tabqa, attraverso zone di conflitto, a seguito di un’altra ondata di operazioni militari. Stime affidabili permettono di affermare che circa 120.000 persone sono state costrette a fuggire dalle loro case: il 40% bambini, il 40% donne e molti degli anziani vulnerabili, per un totale attuale stimato di 300.000 sfollati.

Gli espulsi a Tel Rifaat, nel dicembre 2019 sono stati bombardati in un’area interamente civile, dove i bambini stavano giocando in un vicolo vicino a una scuola. Delle 10 persone uccise dai proiettili sparati dall’artiglieria turca, 8 erano bambini, così come 9 dei feriti. Abbiamo ascoltato la testimonianza registrata di un padre sul figlio di 5 anni ucciso e di un altro di 7 anni ferito. Questo è solo uno dei tanti attacchi indiscriminati contro i civili dopo l’occupazione di Afrin.

Sempre per Afrin sono state presentate evidenze di molti arresti, di uccisioni sommarie di attivisti politici e di soccorritori, di sparizioni, di come la gente potesse capire l’ora dalle urla e dai pianti dei torturati, che iniziavano alle 9 del mattino e duravano fino alle 5 del pomeriggio. Un sopravvissuto ha detto: “Il mio ricordo della detenzione è un dolore che sentirò per il resto della mia vita”. Ci hanno raccontato dei rapimenti, delle aggressioni sessuali e degli stupri di donne e ragazze, delle prigioni segrete convertite in scuole, edifici agricoli e stazioni ferroviarie, dell’impossibilità per i sopravvissuti di parlare per paura di essere arrestati e torturati, della mancanza di rimedi efficaci nei tribunali controllati dalle milizie.

Sono state presentate anche chiare evidenze del bombardamento di altri villaggi NES nell’ottobre 2019, che ha portato allo sfollamento forzato di quasi 140.000 persone, e soprattutto prove – fotografiche, mediche e analisi di laboratorio – dell’uso del fosforo bianco, vietato contro i civili. Si conferma lo stesso modello di occupazione, violenza, violazioni dei diritti umani, confisca di terre e proprietà e reinsediamento da parte di altri gruppi per impedire il ritorno di coloro che sono stati costretti ad andarsene. In alcune aree ci sono stati più di 27 attacchi da parte dell’esercito turco o delle milizie collegate, non in aree militari ma nei campi e nei villaggi degli agricoltori. Gli sfollamenti multipli hanno non solo disperso le famiglie, ma ne hanno impossibilitato la verifica del destino di sopravvivenza o meno dei loro membri.

Abbiamo sentito come le infrastrutture civili vitali siano state distrutte, rendendo la vita impossibile. Abbiamo visto prove fotografiche di ripetuti bombardamenti di impianti di gas ed elettricità e di impianti petroliferi, il che significa che non c’è combustibile per riscaldarsi e cucinare, ma nemmeno acqua, dato che il più grande impianto idrico non ha potuto funzionare, lasciando un milione di persone – nei villaggi, nei campi profughi, negli insediamenti informali e negli ospedali – senza acqua corrente pulita, con conseguenti dissenteria e colera, oltre ad altri problemi di salute. La natura dei bombardamenti ha reso evidente che si trattava di azioni deliberate e non accidentali. Sono state presentate evidenze dettagliate di attacchi a strutture mediche con una utenza di decine di migliaia di pazienti a Kobani e Qamliş con una selettività e ripetizione che ne conferma la chiara intenzionalità. La documentazione di attacchi all’ambiente si è concentrata sul disboscamento illegale di aree forestali che si traduce anche in insediamenti illegali.

Gli attacchi alle donne – il ‘femminicidio politico’ delle donne che sfidano il patriarcato e lavorano per l’uguaglianza di genere, i brutali stupri di donne curde da parte dell’intelligence turca nelle prigioni segrete – hanno costituito una delle evidenze più dirette ed estese da una parte dell’attacco turco al modello Rojava, dall’altra della capacità di resistenza e di autonomia delle donne del Rojava.

Infine, abbiamo ascoltato testimonianze ed esaminato documenti di atti di cancellazione culturale e storica: il bombardamento e la profanazione di siti archeologici e storici ad Afrin, tra cui un sito del patrimonio mondiale dell’UNESCO risalente a 3.000 anni fa, ora riutilizzato come campo di addestramento militare; il bombardamento di Shemoka, una scuola interculturale sperimentale per bambini sfollati, che ha causato la morte di diversi studenti; il bombardamento della tipografia Simav a Qamisli, che ha ucciso 7 persone.

I giornalisti che hanno registrato gli attacchi turchi alle infrastrutture civili, compresi gli ospedali, sono stati uccisi.

2. Che cosa ci dicono i fatti

Gli attacchi della Turchia in territorio siriano, senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, costituiscono un crimine internazionale di aggressione. Gli attacchi, i bombardamenti, gli attacchi con i droni e le atrocità contro i civili, lo sfollamento forzato e l’ingegneria demografica attraverso la sostituzione della popolazione, la distruzione dell’energia e il danneggiamento delle forniture idriche, il danno ambientale, la distruzione del patrimonio culturale e delle istituzioni educative, l’uso dello stupro, della tortura e della detenzione segreta sono azioni contrarie al diritto internazionale, costituiscono crimini contro l’umanità e crimini di guerra e sono indicativi di genocidio. Non spetta a noi come Tribunale dei Popoli, e tanto meno in questo momento, pronunciarci sulle sfumature giuridiche. Possiamo e dobbiamo tuttavia esprimere il nostro orrore e la nostra indignazione per ciò che abbiamo ascoltato e constatato. E possiamo aggiungere che i fatti tendono a confermare ciò che è stato testimoniato, ovvero che l’obiettivo è quello di espellere il popolo e la cultura curda. Le evidenze ci portano a concludere che tutti gli imputati sono penalmente responsabili: il presidente Recep Tayyip Erdogan; Hulusi Akar, ministro della Difesa dal 2018 al 2023; Hakan Fidan, capo dell’intelligence turca durante il periodo e ora ministro degli Esteri; Yaşar Güler, capo dello Stato Maggiore durante il periodo e ora ministro della Difesa; e il generale Ümit Dündar.

3. La giustificazione della Turchia e ciò che rappresenta la realtà di Rojava

La Turchia sostiene che le sue operazioni sono di ‘autodifesa’ contro i terroristi e i loro ‘sostenitori’ in Rojava. Questa affermazione è palesemente infondata. L’Amministrazione Autonoma Democratica per la Siria settentrionale e orientale (DAANES), nata nel 2014 dal caos della guerra civile siriana, è un modello di democrazia diretta, di giustizia, di coesistenza etnica, di parità di genere e di pace, fondato su principi di pluralismo e di inclusione. Ed è un modello di autogoverno autonomo, un modello che il governo turco è intenzionato a distruggere: secondo la sua narrazione, le donne che lavorano per la pace sono ‘terroriste’ che meritano un’esecuzione sommaria. Mentre le forze armate turche conducono molte operazioni militari in Siria, il governo turco utilizza anche milizie che ha finanziato e armato, e le prove suggeriscono che queste milizie sono gruppi allineati all’ISIS. Le prove non indicano quindi i Curdi del Rojava, i cui combattenti hanno combattuto contro l’ISIS/Daesh, ma lo Stato turco e i suoi alti ministri come coloro che dirigono il terrore contro la popolazione civile.

4. La situazione attuale in Siria

Le testimonianze si sono concentrate principalmente sul periodo compreso tra il 2018, quando Afrin è stata occupata, e la fine del 2024, ma i recenti sviluppi hanno spostato l’attenzione sul presente e sul futuro della continua aggressione della Turchia contro il Rojava. Per il futuro dei Curdi è di vitale importanza che la nuova amministrazione siriana si impegni positivamente con DAANES, riconoscendola come parte autonoma del territorio siriano che non minaccia l’integrità territoriale della Siria, e che protegga e rispetti la vita, la cultura e l’autonomia curda.

5. Gli obblighi della comunità internazionale

La comunità internazionale è consapevole delle continue sofferenze del popolo curdo e dei crimini degli accusati, ma non ha intrapreso alcuna azione significativa. Non c’è alcun riconoscimento statale di DAANES e nessuna possibilità di ricorso nazionale o internazionale. È fondamentale che l’esperienza dei Curdi del nord e dell’est della Siria e i crimini commessi contro di loro siano adeguatamente riconosciuti, che i responsabili siano portati davanti alla giustizia, che DAANES sia riconosciuto a livello internazionale come un’amministrazione autonoma realmente rappresentativa e democratica e che la comunità internazionale si assicuri immediatamente che gli attacchi della Turchia, diretti e indiretti, contro il popolo curdo del Rojava cessino, per evitare che si sviluppi un vero e proprio genocidio.

bibliografia

1. Khatib R, McKee M, Yusuf S. Counting the dead in Gaza: difficult but essential. Lancet 2024;404:237-8.

2. Jamaluddine Z, Abukmail H, Aly S, Campbell OMR, Checchi F. Traumatic injury mortality in the Gaza Strip from Oct 7, 2023 to June 30, 2024: a capture-recapture analysis, Lancet 2025;405:469-77.

3. Se dovessi morire fa che io sia un racconto. Il Manifesto 11/12/2023. https://ilmanifesto.it/archivio/2003295803.

4. Cruciati C. «Gaza. Il dottor Hussam solo tra le macerie», intervista a Ghassan Abu Sitta. Volere la luna 02/01/2025. https://volerelaluna.it/rimbalzi/2025/01/02/gaza-il-dottor-hussam-solo-tra-le-macerie-intervista-a-ghassan-abu-sitta/.

5. Tognoni G. Ricordiamoci di Rojava! Volerelaluna 13/12/2024. https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2024/ 12/13/ricordiamoci-di-rojava/.

6. Walter N. La resistenza femminista. Internazionale 06/03/2025. https://www.internazionale.it/magazine/natasha-walter/2025/03/06/la-resistenza-femminista.

7. Tribunale Permanente dei Popoli. Dichiarazione della giuria del TPP in riferimento alla 54° sessione su Rojava vs. Turchia. 13/02/2025. https://permanentpeoplestribunal.org/dichiarazione-della-giuria-del-tpp-in-riferimento-alla-54-sessione-su-rojava-vs-turchia/.