Hanno senso -e perché-
scuole infermieristiche di ricerca
orientate per problemi?

Gianni Tognoni
IRCCS-Istituto Mario Negri, Milano
Per corrispondenza: Gianni Tognoni, gianni.tognoni@marionegri.it


quadro di riferimento

Alle radici di questa riflessione editoriale possono essere individuati (e raccomandate per una ri-lettura) tre riferimenti tra loro molto complementari, pur nella loro apparente eterogeneità.

Il primo, e il più facilmente recuperabile, è la combinazione di due contributi presenti nell'ultimo numero di AIR: l'editoriale (con una scusa, per l'autocitazione)1 che proponeva un impegno metodologico di lunga durata, per riuscire a mantenere, in tempi di profondi cambiamenti organizzativi, un'attenzione prioritaria ad un aspetto della identità professionale più a rischio di dispersione, se non di vera e propria cancellazione: la scelta-vocazione (i termini possono apparire linguisticamente obsoleti, ma sono imprescindibili se si vuole rafforzare una autonomia funzionale di fondo) per un profilo operativo capace di dare anzitutto visibilità alle storie reali di pazienti-popolazioni. La loro specificità ed eterogeneità deve continuare a guidare qualsiasi percorso di appropriatezza mantenendo, come criterio determinante di valutazione ciò che l'organizzazione contribuisce (positivamente o negativamente) a produrre in termini di risposta ai bisogni concreti.
La proposta di ricerca a partire da uno dei luoghi meno gettonati per una ricerca di questo tipo, orientata ai pazienti, le RSA2 coincideva con una opzione metodologica e una strategia culturale che può servire come indicazione più generale. Le risposte positive che stanno arrivando all’invito già formulato a farsi rete collaborativa di ricerca sembrano suggerire che c’è spazio ed interesse o per un cammino in questa direzione.

Il secondo riferimento è costituito da una riflessione-prospettiva recentemente pubblicata su Journal of American Medical Association.3 Il testo è abbastanza corto e compatto (e facilmente recuperabile) da permettere di suggerirne la lettura. Non perché dica cose particolarmente originali in sé (almeno, per chi frequenta AIR), ma perché sottolinea con autorevolezza, a partire da una situazione assistenziale e di politica sanitaria come quella USA, che una strategia imprescindibile per vivere i cambiamenti come opportunità di creatività e di crescente identità specifica, è quella di ri-scoprire che la scuola-formazione-innovazione più imprescindibile (ma altrettanto spesso trascurata e scoraggiata) è quella che si deve organizzare a partire dalle domande, le incertezze, le non-evidenze di cui sono intessute le pratiche.

Il terzo riferimento è una iniziativa – molto piccola, ma simbolicamente e culturalmente piena di suggestioni – che riprende un'antica iniziativa di un gruppo storico della medicina generale, lo CSERMEG, che rilancia una scuola di ricerca4 a partire da una rilettura di uno dei settori più critici ed in evoluzione, sia dal punto di vista dei contenuti e degli obiettivi generali, che dal punto di vista organizzativo: le cure primarie. Uno dei punti specifici di interesse dell'iniziativa è la sua apertura  alle professioni infermieristiche, come ruoli e competenze strettamente complementari, e non dipendenti, rispetto alle professioni mediche. Può essere interessante, come notazione complementare a questa scuola che mette a confronto ed in collaborazione i punti di vista di attori diversi, rimandare ad un altro breve, ma provocatorio contributo, sempre su un numero di JAMA di poco successivo a quello citato,5 che è un promemoria disincantato (certamente parziale sia per il contesto da cui è generato, che per la metodologia adottata) sulla difficile necessità – non più riconducibile a raccomandazioni generali, ma bisognosa di rigorose verifiche sperimentali – di vedere-avere nei pazienti e nei loro contesti di vita, dei partner reali nei processi decisionali e valutativi dei piani-percorsi di cura.
Un ultimo invito alla lettura, prima di suggerire alcune implicazioni. In un recente numero del Lancet6 è pubblicato un contributo culturalmente e metodologicamente molto interessante6 (per la sua estensione) che riporta la praticabilità ed i risultati di una sperimentazione a livello nazionale (su circa 1578 medici di medicina generale, randomizzati in un disegno fattoriale) all’interno delle cure primarie per verificare una domanda spesso trascurata anche a livello infermieristico quale è la permeabilità della cultura medica e assistenziale a produrre-gestire messaggi mirati a modificare comportamenti che implicano decisioni che devono essere prese son la partecipazione sia dei prescrittori – o agenti di cura – che di pazienti?


prospettive anche solo per avere libertÀ di immaginare

Le radici – concrete, e perfino, almeno alcune, formalmente autorevoli di questa riflessione, sono state proposte con la convinzione che nulla di innovativo è oggi facilmente traducibile in pratica. Ma a questa certezza non riesce ad accompagnarsene un'altra: che una delle condizioni oggi più a rischio, per chi lavora in sanità, è quella di rassegnarsi a non avere orizzonti non intrappolati da scadenze gestionali e scoraggiati da restrizioni di risorse.
Le ipotesi che qui si formulano hanno ben presenti entrambi i punti di vista, con un’ovvia opzione per il punto di vista che immagina orizzonti.
1. Siamo alla vigilia – o già nel processo avanzato – di cambiamenti importanti, e di fondo, nella concezione stessa, più ancora che nella gestione, del SSN, così come lo si è immaginato per tanto tempo, e così come, più o meno, viene ancora insegnato. Come cioè il luogo, lo strumento, il tempo per fare della sanità-salute una delle opportunità per essere-fare una scuola di democrazia-diritto-risposta privilegiata per bisogni inevasi. Si può – si deve? – sempre più pensarsi come produttori/trici di conoscenze e pratiche culturalmente innovative, che guardano avanti, e non siano trasferimento, più o meno passivo, di ciò che è noto. Siamo tutte/i chiamati a rimetterci a scuola di scrittura-pratica creativa: in modo collegiale.

2. È urgente lo sviluppo – anzitutto nell'immaginario, così che faccia maturare-sperimentare praticabilità – di reti di luoghi-contesti assistenziali, che partendo dal basso, si costituiscono come scuole che mirino non ad insegnare-aggiornare sull'uno o l'altro problema o disciplina, ma a dare spazio e strumenti per la produzione collegiale, dall'interno della realtà assistenziale, di agende aperte su orizzonti-bisogni inevasi: su-con popolazioni marginali rispetto all'attenzione main stream, in alleanze flessibili con le discipline-competenze che sono parte dei problemi e delle loro soluzioni. Il concetto di scuola non coincide evidentemente con quello classico: indica una progettualità di apprendimento condiviso, organizzato per produrre e gestire progetti che sono già conoscenza nella misura in cui arrivano a definire e rendere immaginabili cammini.

3. Un'assistenza che si fa scuola significa aprire opportunità molto differenziate, in funzione delle agende di orizzonti che si identificano. Ridà senso e visibilità ad essere parte di una risorsa diffusa di curiosità condivise e di competenze che si valorizzano reciprocamente. Le/gli insegnanti sono parte, alla pari con le/gli allieve/i, dell'unico progetto per ridare alla sanità il ruolo di promotrice/garante di una fruizione della dignità della vita. Tutto ciò in un Paese che fatica sempre di più a credere che sia possibile qualcos'altro che non sia il trovare, più o meno con fatica, risposte di sopravvivenza.

4. In questa scuola, le vite dei cittadini-pazienti sono punto di partenza e di arrivo. Insegnamento, metodi, pratiche, si misurano – con tutto il mix di quantitativo, qualitativo, clinica, epidemiologia, diritto, economia che è necessario – sulla loro capacità di dare visibilità e credibilità ad una sanità come scuola complessiva di democrazia ed autonomia.

5. I temi ed i metodi che si sono toccati in questa nota editoriale possono essere uno stimolo iniziale. La costruzione collegiale – con suggerimenti, critiche, diffidenze, proposte, accordi, dissociazioni, di una agenda di scuole-orizzonti, può essere un primo, imprescindibile banco di prova per verificare quanto del titolo dato all’editoriale possa essere mantenuto: al di là dell’imprescindibile punto interrogativo.


BIBLIOGRAFIA

1. Tognoni G. Pro-memoria metodologico 2016. Assist Inferm Ric 2016;35:2-4.
2. Di Giulio P. RSA come area di ricerca. Assist Inferm Ric 2016;35:43-5.
3. Chambers DA, Feero WG, Khouri MJ. Convergence of implementation science, precision medicine and learning health care systems. A new model for biomedical research. JAMA 2016;315:1941-2.
4. Formazione alla pratica della ricerca nelle cure primarie. http://www.unimib.it/open/news/Formazione-alla-pratica-della-ricerca-nelle-cure-primarie/4037505038316104238 Ultimo accesso 6 giugno 2016.
5. Tefera L, Lehrman WG, Conway P. Measurement of the patient experience. Clarifying facts, myths and approaches. JAMA 2016;315:2167-8.
6. Hallsworth M, Chadborn T, Sallis A, Sanders M, Berry D, Greaves F et al. Provision of social norm feedback to high prescribers of antibiotics in general practice: a pragmatic national randomized controlled trial. Lancet 2016; 387:1743-52.